È la prima incoronazione britannica, a settant’anni di distanza da quella di Elisabetta II, nel 1953. Charles Philip Arthur George Windsor – in arte “The third” – vive finalmente la sua giornata. L’attesa di una vita trova oggi il suo… coronamento. Alla regale età di anni 74, oggi “Carlo” diventa formalmente il re più anziano nella storia del Regno Unito (fu anche l’erede più giovane).

Il corteo (autorizzato) partirà da Buckingham Palace alle 10.20 per arrivare alle 10.53 all’abbazia di Westminster. Alla cerimonia, condotta alle undici del mattino dall’Arcivescovo di Canterbury nonché ex banchiere Justin Welby, sua moglie Camilla Parker Bowles diventerà regina sua consorte davanti a circa 2.300 ospiti, tra cui Jill Biden (Joe non va alle incoronazioni), Emmanuel Macron, il vice-presidente cinese Han Zheng, la leader del Sinn Féin Michelle O’Neill, il premier australiano Anthony Albanese e quello pakistano Shehbaz Sharif. Cui si uniranno Rishi Sunak e tutti i suoi predecessori viventi assieme al governo tutto e al leader dell’opposizione Keir Starmer.

SARÀ UN FINE SETTIMANA di tre giorni ricco di festeggiamenti, con un lunedì 8 maggio festivo. A chiudere le ostilità un concerto al castello di Windsor domenica, con artisti del calibro di Take That e Katy Perry a far impallidire le memorie di Woodstock e Glastonbury.

Pur essendo una versione “leggera” dell’evento che aveva avuto sua madre protagonista, l’incoronazione è un funerale reale con il segno più davanti: al netto della fausta e giubilante circostanza, lo stesso sfoggio pornografico di opulenza, la stessa orgia simbolica e mitopoietica a base di carrozze e l’aggiunta di scettri e globi ancestrali regolarmente depredati a malcapitate popolazioni e culture del passato e coreografati con inarrivabile maestria spettacolare: la prerogativa che fa dell’Inghilterra l’accademia militare degli ancien régime del presente e del futuro. Ma la modernizzazione si ferma lì: né la defunta madre, né finora lui hanno chiesto scusa per le atrocità inflitte alle “colonie” dall’impero di cui erano/sono il simbolo.

PER IL NEO-RE, a dirla con un carme del Baglioni, «la vita è adesso». L’ex erede al traino smette finalmente di essere vagone e, appropriandosi di un’eredità ostinatamente negatagli dall’ineffabile longevità materna, si fa locomotiva fuori tempo massimo. La macchina produttrice del consenso nei confronti del privilegio e della ricchezza osceni di famiglia è ancora perfettamente oliata, certo, eppure cigola: un sondaggio YouGov del mese scorso ha rivelato che di oltre tremila adulti intervistati, il 35% «non si interessa molto» dell’incoronazione, mentre il 29% ha dichiarato di «non interessarsene affatto». Alle generazioni Y e Z la monarchia gli rimbalza, a voler italianizzare una locuzione romanesca.

Anche per questo, finita l’orgia di vecchi merletti, egli ha molto da fare: rendere vagamente accettabile il fratello Andrea, far dimenticare il recente, disastroso viaggio nei caraibi di “William and Kate,” e soprattutto ricucire la penosa frattura con il figlio, impenitentemente ammogliato a un’attrice americana (come suo pro-prozio Edoardo l’abdicatore) che non somiglia a Keira Knightley. Per tacere degli ex sottoposti del “Commonwealth”: i sudafricani, che pretendono indietro i diamanti della corona, razziati all’inizio del Novecento; o Barbados e la Giamaica, che figurano tra varie nazioni che intendono mollare lo stesso Commonwealth. E magari accogliere il provocatorio invito di Julian Assange, recluso nella sovraffollata prigione di Belmarsh, a fargli visita. Mentre gli organizzatori, umili e operosi, stanno già pensando al funerale. Lo show, si sa, must go on.