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Kornel Filipowicz, stili della vita umana governati dalla biologia

Kornel Filipowicz, stili della vita umana governati dalla biologiaKornel Filipowicz

Scrittori polacchi Nelle storie brevi di Kornel Filipowicz la forte impronta autobiografica infiltra la predilezione per i dettagli rivelatori, nascosti nella natura: «Il gatto nell’erba bagnata», antologia di racconti da Marietti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 1 ottobre 2023

Il fatto che Kornel Filipowicz sia  il protagonista invisibile di una delle più celebri liriche di Wislawa Szymborska, cui era legato affettivamente, ha finito con l’oscurarne la fama: era autore di piccole forme, romanzi brevi o persino «micro romanzi», racconti di forte impronta autobiografica, centrati su ricordi di infanzia, memorie di guerra (fu deportato in un campo di concentramento tedesco). La sua è stata una «immaginazione del concreto», di cui porta una eccellente prova l’antologia Il gatto nell’erba bagnata ottimamente curata da Andrea Ceccherelli (Marietti, pp. 288, € 18,00) che testimonia del suo confronto «trasparente» con la realtà, e della sua attenzione a tutto ciò che è usuale e quotidiano, mentre va alla ricerca di quel tanto di mistero che si nasconde non solo negli uomini, ma anche negli animali, nelle piante o negli oggetti. Filipowicz si era infatti formato come naturalista, avendo studiato biologia alla Università Jagellonica di Cracovia. Significativamente l’antologia si apre con uno dei suoi racconti più belli e rappresentativi, Una farfalla rara, dove il nitore estetico dell’osservazione empirica si intreccia con l’introspezione psicologica e un sobrio riflettere sulla posizione dell’uomo nel contesto naturale. Filipowicz indaga i comportamenti umani alla luce delle leggi della biologia, così che in guerra l’amore di una coppia mal assortita può essere spiegato dal fatto che «negli anni avversi l’accoppiamento di individui dalle caratteristiche opposte va a vantaggio della specie, poiché nella lotta per la sopravvivenza garantisce ai loro discendenti il predominio sugli esemplari più belli, […] ma anche più torpidi, che vengono al mondo negli anni di serenità e benessere» (Ciò che è unito). La dimensione biologica garantisce infatti un senso alla persistenza umana a fronte della violenza dei cambiamenti storici, ma anche della non meno imprevedibile mutevolezza dei sentimenti.

Ai racconti di più marcata impronta autobiografica, come La bambina con la bambola, ovvero del bisogno di malinconia e solitudine, che si chiude su una nota di inaspettata e compiaciuta misantropia, o La morte del mio antagonista, storia dello svilupparsi di un odio personale dai toni talvolta ostentatamente mutuati da Gombrowicz  («Chi di noi è stato il primo, il maggiore, l’autentico? Io o lui? Chi di noi ha detto la prima parola che ci ha resi diversi?»), si alternano racconti solo apparentemente più estrinsechi, come quello dell’amore «ferroviario» di Jan e Lena, tutto distacchi e attese, non tanto condizionato da fattori esterni (dopo tutto «il treno era puntuale. L’orario dei treni e le leggi della fisica funzionavano alla perfezione»), ma da un rinnovarsi del dubbio (Incontri ed attese). La dimensione narrativa preferita da Filipowicz è comunque lucidamente e dolorosamente autobiografica, capace di inverarsi persino in un silenzio, quello drammaticamente eloquente del padre (Mio padre tace) di fronte alla canizza antisemita scatenata dai tifosi polacchi in occasione di una partita di calcio, silenzio rotto solo dalla frase «nella storia diverse cose brutte sono cominciate con un pestaggio di ebrei». In quella  sorta di brevissima antologia di Spoon River contenuta nel racconto Come un soffione, tra i morti di un piccolo cimitero di provincia spicca proprio la figura al contempo ingombrante e assente del padre dell’autore, a lui forse persino più estranea di quelle di altri trapassati, alcuni effettivamente conosciuti in vita, altri le cui esistenze sono ricostruibili attraverso l’immaginazione. In La mia amata, orgogliosa provincia la narrazione autobiografica subordina la riflessione sul ruolo sociale dello scrittore a una dettagliata e affettuosa descrizione – tra la cronaca e la sociologia – di un cittadina di provincia.

In tutto questo disperato (ma non squallido) grigiore, a risaltare per la loro vivacità e simpatia sono – non casualmente – personaggi animali. Forse non il ringhioso, laido ed ectoplasmatico Cane della vedova Wurm, ma certamente Kalì, il cane che non riesce a frenare il suo odio per gli occupanti tedeschi, pagando per questa sua indole patriottica il prezzo più alto. A godere delle indiscusse simpatie dell’autore è comunque lo «szymborskiano» gatto (dall’inspiegabile nome di Murder) protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, impegnato in un eterno ritorno ai luoghi cui sa di appartenere, per accertarsi «che gli elementi principali del mondo che lo circonda – gli alberi, le pietre, i cespugli e i recinti – siano, per così dire, al loro posto». Il gatto Murder infatti è in grado di vivere e agire soltanto avendo la sensazione di essere quello che è, e di trovarsi in paraggi a lui conosciuti: «Sullo sfondo di ciò che non cambia, e non cambiando lui stesso, riesce a vedere e capire meglio ciò che di continuo cambia, cresce, si muove, si sposta». Anche in questo caso, il racconto si conclude in modo inaspettatamente crudele. In un successivo racconto (purtroppo non compreso nella raccolta), Conversazioni sulle scale, alla gatta Kizia, caduta dal parapetto di una finestra al terzo piano, verrà invece risparmiata la morte: diverrà la protagonista della poesia Gatto in appartamento vuoto con cui Wislawa Szymborska avrebbe espresso tutto il proprio spaesamento per la perdita del suo compagno.

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