«Intendo aumentare gli sforzi per arrivare a una proposta di revisione il prima possibile». A parlare è Fumio Kishida. L’oggetto da revisionare è la costituzione «pacifista» del Giappone. L’omicidio di Shinzo Abe lascia già intravedere le sue prime, ma profonde, conseguenze: Tokyo avrà una maggiore spinta al superamento delle restrizioni imposte dagli Stati uniti nel dopoguerra.

ALLE ELEZIONI per il rinnovo parziale della Camera alta il Partito liberaldemocratico ha conquistato 63 dei 125 seggi in palio. Sommati a quelli dell’alleato Komeito fanno 76. Una maggioranza ancora più solida della precedente. Il fronte riformista può contare ora su 179 scranni sui 248 totali, perché vanno contate anche le dodici poltrone del Japan Innovation Party, all’opposizione ma favorevole alla revisione. Tra i nuovi eletti ci sono anche 35 donne: un record.

La vittoria era scontata ma secondo diversi analisti l’attentato all’ex premier può aver giocato un ruolo nel lieve aumento dell’affluenza. Senza l’ingombrante presenza di Abe e con tre anni di fronte senza appuntamenti elettorali, Kishida potrà provare a imporre la sua visione sulle politiche economiche, che vorrebbe orientare a una diminuzione del debito e a un aumento del welfare. Superando almeno parzialmente l’Abenomics.

SUL SUPERAMENTO dell’articolo 9 della costituzione, che impedisce al Giappone di avere un vero e proprio esercito, può invece riuscire laddove il suo mentore non era arrivato. Kishida ha ora a disposizione la maggioranza di due terzi necessaria per avviare l’iter di riforma che dovrebbe poi essere validato da un referendum popolare. L’attuale premier ha promesso di voler raccogliere «l’eredità di Abe» anche sul «drastico» aumento delle spese militari.

L’obiettivo è raddoppiare il budget per la difesa entro cinque anni, portandolo al 2% del Pil. Prima del 2023 sarà invece pubblicata una nuova strategia di sicurezza, in cui saranno citate Corea del Nord, Cina e Russia.

Oltre ai test balistici di Pyongyang, nelle scorse settimane sono aumentate le manovre militari di Pechino e Mosca (spesso congiunte) al largo dell’arcipelago giapponese e delle isole contese Senkaku/Diaoyu, in risposta al rafforzamento dei legami tra Tokyo, Stati uniti e Nato.

Una tendenza, quest’ultima, accelerata dalla guerra in Ucraina e che Washington vuole cementare. Ieri il segretario di Stato Antony Blinken è stato a Tokyo per incontrare Kishida e consegnargli una lettera di condoglianze di Joe Biden.

Nella capitale è arrivato anche William Lai, il vicepresidente di Taiwan. Si tratta della visita dell’ufficiale taiwanese più alto in grado dal 1972, quando si ruppero i rapporti diplomatici ufficiali tra Giappone e Repubblica di Cina. Una mossa che può esacerbare le tensioni tra Tokyo e Pechino. Lai non è solo il vicepresidente, ma anche il probabile candidato del Dpp alla successione di Tsai Ing-wen nel 2024.

SE L’ATTUALE PRESIDENTE taiwanese può essere considerata una centrista, lui ha invece un passato molto più radicale. Nel 2019 il partito di maggioranza fu a un passo dalla scissione con Lai a capo della fazione più incline a perseguire l’indipendenza come Repubblica di Taiwan. Crisi ricomposta e posizioni poi sfumate da Lai, ma in pochi hanno dimenticato.

A Taipei sono state poste le bandiere a mezz’asta. Abe era considerato l’alleato più fidato: lo scorso anno si era fatto ritrarre con ananas taiwanesi dopo l’embargo di Pechino e poche settimane fa aveva invitato Biden ad abbandonare l’ambiguità strategica sullo Stretto. La sua morte rappresenta per i taiwanesi uno choc per certi versi persino maggiore dell’invasione russa dell’Ucraina.