Kiev, nevica in piazza Maidan. Arriva il generale più crudele
Ucraina Medie invernali a -15, e con gli ultimi grandi attacchi il 40% dell’energia ucraina è fuori uso
Ucraina Medie invernali a -15, e con gli ultimi grandi attacchi il 40% dell’energia ucraina è fuori uso
Forse le truppe russe non riusciranno ad avanzare nei prossimi mesi ma chi dovrà resistere al gelo sono gli ucraini. Se ne sono resi conto tutti, soprattutto i media che continuano a pubblicare laconiche immagini di Kiev che inizia a tingersi di una leggera patina bianca sotto i primi fiocchi di neve. Il che, al nono mese di guerra è tutt’altro che romantico.
IN UCRAINA le minime invernali superano i -15° e, più raramente, arrivano a -20°. Dentro uno scantinato senza corrente, gas o acqua calda, una situazione del genere diventa presto insostenibile. Dire che lo Stato maggiore russo non ci ha pensato e che i bombardamenti alle infrastrutture energetiche ucraine portati avanti nell’ultimo mese sono solo un «cambio di strategia» è tanto ingenuo quanto pretestuoso. Al contrario, è ben evidente che la gestione voluta dal neo-comandante delle forze di Mosca in Ucraina, Sergej Surovikin, miri a fiaccare la capacità di resistenza dei civili nei bunker, obbligarli a rinunciare ai comfort più scontati della vita quotidiana, a vivere come ratti al buio e al freddo mentre fuori suonano le sirene e fischiano i razzi.
LA RABBIA di chi accusa i russi di non essere riusciti a schiacciare il nemico sul campo di battaglia e quindi di essersi orientati verso le retrovie è comprensibile ma, purtroppo, esula dalla logica della guerra in cui il fatto che il fine giustifica i mezzi è portato al suo parossismo e raggiunge vette tragiche. Per questo, sebbene sia normale che i funzionari ucraini accusino i russi, come ad esempio ha fatto il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, scrivendo su Twitter che i bombardamenti sono «tattiche ingenue di perdenti codardi», non risulta altrettanto scontato che la strategia di difesa debba puntare sul martirio. Non si tratta di spingere gli ucraini alla resa, ma di frapporsi tra la sete di conquista dell’invasore e i suoi bersagli e di spingere i difensori al tavolo da una posizione non subalterna.
L’OCCIDENTE questo potrebbe farlo, non per stanchezza, perché la guerra sta diventando troppo costosa o perché l’obiettivo di indebolire Mosca è stato raggiunto (tutte ragioni citate in diverse sedi internazionali da un’ampia schiera di figure) ma perché non c’è alcun motivo di attendere che gli eserciti ucraino e russo si sfianchino tanto da decimarsi in uno stallo infrangibile, come afferma il capo di Stato maggiore congiunto americano Mark Milley – proprio lui, il capo dei generali americani, meno bellicoso dei politici del suo stesso paese. In mezzo, bisogna ricordarlo sempre, ci sono milioni di persone.
IN MOLTI IERI hanno accolto con gioia l’estensione dell’accordo sul grano che permette le esportazioni dai porti ucraini per altri 120 giorni. «È una notizia vitale per tutti quei popoli che soffrono per la grave crisi alimentare provocata dalla guerra» dice l’Onu. Ma in ampie parti del Donbass da mesi il cibo arriva solo sui camion degli aiuti umanitari. Già da maggio manca il gas, poi si è aggiunta l’acqua e infine la corrente. Ora che all’aperto non si può più stare e, finita la pioggia, inizierà a nevicare, chi spiegherà a queste persone che sono parte della «fiera resistenza del popolo ucraino»? E i civili di Kiev, di Odessa o di Dnipro (tutte colpite di nuovo ieri), sapranno adattarsi come hanno fatto i loro compatrioti negli ultimi mesi? In alcune zone dell’est la guerra era già iniziata, seppure in modo discontinuo e con intensità molto minore, nel 2014. Ma l’abitudine non crea per forza una corazza, e forse troppo spesso si è parlato questa guerra come di qualcosa di astratto, di circoscritto a delle regioni tutto sommato limitate. Invece Surovikin la pensa diversamente. Sta portando la guerra casa per casa, per la sofferenza ad altri milioni di ucraini.
L’ATTACCO DI MARTEDÌ, condotto con oltre 100 missili e diretto principalmente agli snodi primari della rete elettrica, ai centri di produzione energetica nonché ai trasformatori in uscita dalle centrali nucleari ne è la prova. Secondo il ministro dell’energia ucraino, Herman Halushchenko, si è trattato del bombardamento «più massiccio alle infrastrutture energetiche ucraine dall’inizio della guerra».
Mentre il mondo si concentrava sull’incidente al confine con la Polonia e alcuni fantasticavano in modo macabro sulla Terza guerra mondiale, 10 milioni di persone sono rimaste al buio per diverse ore. Nonostante poi la situazione sia migliorata, nel lungo termine i blackout programmati saranno sempre più frequenti e i rifornimenti alle zone orientali meno facili da ripristinare. In Donbass, tra l’altro sarebbe stato colpito anche un sito per la produzione del gas, secondo quanto dichiarato dal responsabile della compagnia energetica statale Naftogaz, Oleksiy Chernishov.
Il dato complessivo è che circa i 40% delle infrastrutture energetiche del Paese sono fuori uso.
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