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Kiev attacca Merkel: «Venga a Bucha per vedere i frutti della sua politica verso la Russia»

Kiev attacca Merkel: «Venga a Bucha per vedere i frutti della sua politica verso la Russia»Novembre 2021, Glasgow, due attivisti di Oxfam mascherati da Putin e Merkel durante una protesta ecologista – Ap

Ucraina/Germania Complici di Putin. Nel giorno in cui Berlino espelle 40 diplomatici russi sotto accusa finisce la Ostpolitik dell'ex cancelliera. E Varsavia accusa il presidente tedesco Steinmeier: con Mosca ha un rapporto «quasi sacro»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 aprile 2022

In pratica, complici di Putin. Dopo il massacro di Bucha, Kiev e Varsavia puntano il dito contro l’ex cancelliera e il presidente della Repubblica accusandoli, senza mezzi termini, di avere legato a doppio filo Berlino con Mosca. Proprio il giorno in cui la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, annuncia la raffica di 40 espulsioni di diplomatici russi dalla Germania entro 5 giorni.

«INVITO LA SIGNORA MERKEL e il signor Sarkozy a visitare Bucha per vedere cosa ha ottenuto la politica di concessioni alla Russia negli ultimi 14 anni. Guardate con i vostri occhi gli ucraini torturati» è l’attacco frontale del premier ucraino Volodymyr Zelensky alla Ostpolitik portata avanti da “Mutti-Angela”, ovvero la risposta di Kiev al mancato pentimento dell’ex cancelliera, pronta, al contrario, a difendere il suo «Nein» all’ingresso dell’Ucraina nella Nato: «Ribadisco la decisione presa al vertice dell’Alleanza atlantica nel 2008» fa sapere il portavoce di Angela Merkel specificando che lei, oggi, sta «dalla parte del governo Scholz contro la barbarie provocata dalla Russia».

Zelensky a Bucha

Giustificazione impensabile prima dell’invasione e incredibile anche ora: fino a una settimana fa negli ambienti governativi di mezza Europa si invocava esattamente la mediazione di Merkel per il cessate il fuoco.

Ma non è l’unica figura istituzionale tedesca al centro del mirino di Kiev e Varsavia. Sia l’ambasciatore ucraino a Berlino, Andriy Melnyk, che il vice-premier polacco, Jaroslaw Kaczynski, nel fine settimana hanno denunciato «la vicinanza alla rete russa» di Steinmeier, descrivendo il suo rapporto con Mosca «quasi sacro».

A SENTIRE MELNYK, l’ex ministro degli Esteri della Spd, già tra i protagonisti degli Accordi di Minsk, «in questi anni non è mai stato serio sulla sua rottura con la Russia» e la prova coinciderebbe con l’inner-circle del Bundespräsident incistato di russofili, come Jens Plötner, attuale consigliere di politica estera del cancelliere Scholz, e Andreas Michaelis, segretario di Stato al ministero degli Esteri.

Si aggiunge alla critica di Kaczynski, secondo cui «la Polonia non è soddisfatta del ruolo europeo della Germania perché ha ancora una forte inclinazione verso Mosca»; è il motivo per cui Varsavia ha chiesto a Washington di aumentare del 50% le sue truppe in Europa e si è offerta per ospitare le atomiche Usa nelle basi polacche.

MENTRE L’AMBASCIATORE ucraino (già entrato in rotta di collisione con Steinmeier dopo il rifiuto di partecipare al concerto per la Pace dei Berliner Philharmoniker per via del direttore d’orchestra russo) rigira la lama nella piaga: «Dal punto di vista di Putin non esiste nessun popolo ucraino, nessuna lingua, nessuna cultura, e quindi nessuno Stato. Steinmeier sembra condividere l’idea che gli ucraini non siano un vero soggetto. Anche il concerto è stato un chiaro segnale in direzione di Mosca, forse per dire a Putin: sto tenendo la trincea».

Insomma, a Kiev non è bastato il doppio mea-culpa di Steinmeier: «Il Nordstream-2 è stato un errore» e «mi sbagliavo sul delirio imperiale di Putin».

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