Forse la storia del movimento dell’«Euromaidan», almeno per quanto riguarda la sua fase più violenta, andrà riscritta da capo. In una serie di interviste rilasciate a Tbilisi, due contractors georgiani affermano che in quella occasione furono assoldati da un membro del governo americano per partecipare agli incidenti in qualità di cecchini, con lo scopo di produrre il più alto numero di vittime possibile.

IL MOVIMENTO REAZIONARIO di massa della Maidan che scosse Kiev giusto 4 anni fa e che condusse al rovesciamento del governo Yanukovich, raggiunse il suo apice il 20 e il 21 febbraio del 2014 quando negli scontri a fuoco tra i poliziotti della Berkut (la guardia scelta del governo) e i dimostranti, morirono oltre cento persone. Si trattò della più importante insurrezione in Europa orientale del dopoguerra dopo quella ungherese del 1956.

Uno dei due georgiani, intervistato qualche giorno fa da due televisioni europee e ieri anche dalla agenzia di stampa moscovita Interfax, Alexander Revazishvili ricorda: «Giunse alla nostra tenda sulla Maidan Mamulashvili (uno stretto collaboratore di Michail Shakashivili, ex presidente della Georgia, n.d.r.) con un ucraino che si faceva chiamare Andrea, ma soprattutto con un americano che indossava la mimetica, un ex soldato dell’esercito, che si presentò con il nome di Cristopher Bryan». Il misterioso Bryan venne presentato come «istruttore di contractors». La circostanza è confermata dall’altro «contractor» georgiano, Koba Nergadze, che incontrò separatamente Bryan ma questa volta alla presenza proprio di Shakashivili. Racconta Nergadze: «Era presente all’incontro anche l’attuale capo della sicurezza nazionale Sergey Pashinsky. Gli ordini venivano dati da Bryan e a noi tradotti in georgiano da Mamumashvili. Un gruppo di «contractors» diretto da Pashinsky, e composto da lituani, polacchi e georgiani avrebbe dovuto recarsi all’edificio del Conservatorio ma non avevamo idea per far cosa».

IL RACCONTO DI NERGADZE è ancora più stringente per quanto riguarda quello che successe in seguito. La mattina dopo era il 20 febbraio. Su piazza Maidan si stagliava una fitta nebbia in parte dovuta all’umidità e in parte per l’esplosione di colpi di armi da fuoco e il fitto lancio di bottiglie molotov. Quel giorno sarebbero morte almeno 60 persone durante i violenti incidenti.

«LA MATTINA PRESTO – ricorda ancora Nergadze – verso le 8, ho sentito spari provenienti dal Conservatorio. Dopo tre o quattro minuti il gruppo di Mamulashvili ha anch’esso iniziato a sparare dall’hotel «Ucraina». I due gruppi di cecchini spararono in modo incrociato sia sulla polizia sia suoi dimostranti cercando di provocare più morti possibili. «Pashinsky mi ha aiutato a scegliere le posizioni di tiro. Verso le 7.30 del mattino (o forse più tardi) Pashinsky ordinò a tutti di prepararsi ad aprire il fuoco. Avremmo dovuto sparare 2 o 3 colpi e poi cambiare posizione in modo che i colpi sembrassero casuali. Abbiamo continuato per circa 10-15 minuti. Successivamente, ci è stato ordinato di abbandonare le armi e lasciare l’edificio».

I DUE GEORGIANI affermano che per provocare il massacro ricevettero due pagamenti: il primo di 10mila dollari e il secondo di 50mila. Per ogni parlamentare dell’opposizione ucciso avrebbero ricevuto altri 1.000 dollari supplementari.

Queste nuove evidenze sul ruolo di provocazione americana nei giorni della Maidan confermano la tesi di Ivan Katchanovski, ricercatore della School of Political Studies dell’Università di Ottawa, che quest’estate aveva pubblicato uno studio in cui proponeva una inquietante interpretazione sugli eventi che portarono sull’uccisione di tanti manifestanti in quei drammatici giorni di guerriglia urbana.

Una parte dei manifestanti secondo la ricerca di Katchanovski – che si basava su oltre 2.000 documenti processuali, analisi balistiche e centinaia di ore di registrazioni video – sarebbero stati uccisi da cecchini appartenenti alle formazioni di estrema destra Pravy Sektor e Svoboda. Si trattò di quello che nel gergo militare viene chiamata una false flag operation, cioè una azione militare volta a far ricaderne la responsabilità in conto del nemico, in questo caso della polizia del governo Yanukovich.

ADESSO LE RIVELAZIONI dei due cecchini georgiani gettano un’ombra ancor più lugubre su tutta la vicenda. In piazza Maidan non spararono solo cecchini dei gruppi neofascisti ma anche mercenari assoldati dagli americani per mezzo dell’ex-presidente georgiano «Misha» Shakashvili. Che Shakashivili fosse nella manica della Cia, non c’è mai stato dubbio alcuno. Il suo ruolo di provocazione nei confronti della Russia divenne evidente sin dai tempi della guerra russo-georgiana del 2008. Ora se venisse provato il suo ruolo di «organizzatore del massacro» durante la rivolta della Maidan, si potrebbero iniziare a mettere insieme i pezzi del puzzle e tirare alcune conclusioni.

Del perché Shakashvili venne premiato, nel 2015, dal presidente Petr Poroshenko con la nomina a capo della provincia di Odessa e con il conferimento del passaporto ucraino. E del perché da quando l’avventuriero georgiano è rientrato a Kiev nell’autunno 2017 per dirigere il suo «movimento anticorruzione« siano stati usati con lui sempre i «guanti bianchi». E del motivo per cui, espulso dall’Ucraina appena due giorni fa, venga ora ricevuto in tutte le cancellerie europee.