Khartoum nel cuore
La guerra in casa mia L’angoscia dei sudanesi della diaspora per i familiari ostaggio dei combattimenti, le case distrutte o saccheggiate, i risparmi di una vita andati in fumo. E per le sorti anche "culturali" della loro capitale-simbolo
La guerra in casa mia L’angoscia dei sudanesi della diaspora per i familiari ostaggio dei combattimenti, le case distrutte o saccheggiate, i risparmi di una vita andati in fumo. E per le sorti anche "culturali" della loro capitale-simbolo
Mi sento piuttosto in imbarazzo a parlare della mia città natale quando così tante altre città e paesi nel mondo stanno affrontando disordini politici, guerre e disastri naturali. Vorrei poter dire che sapevo esattamente cos’era la guerra, e quale il suo effetto su un popolo, prima che arrivasse nella mia città natale.
VORREI POTER DIRE di averlo sentito così profondamente quando le case a Gaza sono state bombardate, quando la Russia ha invaso l’Ucraina o quando i Rohingya sono stati sfollati. Vorrei poter affermare che le immagini dei rifugiati siriani nelle strade di Istanbul mi abbiano scosso con la stessa forza, o che le inondazioni e i terremoti visti in tv mi abbiano tenuta sveglia con attacchi di panico e incubi. Vorrei aver saputo parlare di più, agire di più e preoccuparmi di più quando le persone hanno dovuto lasciare le loro case con solo uno zaino durante le inondazioni in Kwa Zulu Natal.
Mi imbarazza il fatto che ci siano volute una guerra nella mia città natale e lo sfollamento dei miei più cari amici e della mia famiglia per farmi capire la difficile situazione dei miei amici palestinesi e quali siano gli effetti sulla propria psiche quando si viene allontanati dalla propria patria e dalla propria visione del mondo.
PURTROPPO NON SONO COSÌ compassionevole né evoluta come speravo di essere, o aspiro a essere. C’è voluta la guerra a Khartoum per riflettere su tante altre storie del mondo e sui sopravvissuti a tante tragedie. Mi imbarazza soprattutto parlare della mia città natale, nel centro del paese, dove il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco si incontrano, quando il Sudan ha visto così tante guerre nelle sue periferie durante la mia vita: la guerra civile con il Sud Sudan e il genocidio del Darfur in particolare. Mi imbarazza anche parlare di una parte di Khartoum che è – era – più ricca e dotata di risorse e infrastrutture migliori rispetto a molte altre zone della città. Come molte altre città in Africa, Khartoum è – era – una città divisa, con sacche di ricchezza e povertà.
Ma per favore sii paziente con me e lascia che ti parli della Khartoum che conosco.
KHARTOUM È UNA CITTÀ che non conosce guerre né combattimenti. Alcuni anni fa, miei parenti mi chiedevano di spiegare cos’era un sequestro su un mezzo di trasporto, pubblico o privato, o cosa intendessi esattamente quando raccontavo la mia esperienza di una rapina a mano armata in un ricco sobborgo di Pretoria. I miei amici sudanesi semplicemente non avevano l’abitudine alle armi, né avevano mai avuto una pistola puntata contro di loro.
Khartoum è casa, e come sempre le cose di casa si danno per scontate. Amavamo lamentarci. Nel gennaio 2023 sono andata a Khartoum per un matrimonio; nonostante le preoccupazioni per l’aumento della criminalità, mi sentivo ancora abbastanza sicura per circolare da sola, di notte, usando Tirhal, la versione sudanese di Uber. I viaggi a Khartoum significavano visite di famiglia, ma anche di interesse culturale.
CAPITALE DELLA CULTURA ARABA nel 2005, Khartoum è sempre stata un centro di creatività, nonostante la controversa identità araba di una città che è anche molto africana. Eppure, quella tensione di identità è anche ciò che rende – ha reso – Khartoum speciale. È – era – una città che brulicava di attività nonostante le lotte quotidiane e gli sconvolgimenti politici. Esplorare le nicchie dell’innovazione in città è stato un vero piacere, reso ancora più speciale in quanto era anche una città sicura.
Questa città è ora una città fantasma di case abbandonate, cecchini e cadaveri per le strade.
La Grande Khartoum è composta da tre città divise dai tre fiumi Nilo, collegate da numerosi ponti. La nostra casa si trova in una parte stretta della città, tra il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco. Tra i due fiumi, si trovano anche l’aeroporto e il quartier generale militare. Questa parte della città è stata la prima ad essere attaccata dai miliziani e la prima a dover essere evacuata.
I VICINI RACCONTANO le storie del terrore che hanno vissuto e alcuni, impossibilitati a lasciare le loro case, le sperimentano ancora quotidianamente. Abbiamo visto una foto di un veicolo della milizia vicino a casa nostra, abbiamo ricevuto foto di miliziani accanto alla casa di mio zio, lì vicino, e immagini di cadaveri sparsi per strada, davanti a uno dei miei supermercati preferiti. Case e attività commerciali sono state saccheggiate. Ma tutta la città è stata distrutta su una scala che è difficile da comprendere. Molti anziani, giovani e malati se ne sono dovuti andare, lasciandosi tutto alle spalle, improvvisamente e senza alcun preavviso.
Sono quattro anni che le milizie si sono strategicamente posizionate nella capitale. Le Rapid Support Forces (RSF), come sono conosciute, hanno una storia brutale nel Darfur, nella parte occidentale del paese. Apparentemente sono stati convocati da Omar el-Bashir, il famigerato dittatore militare che è rimasto al potere per trent’anni, per avere protezione, poco prima che fosse rovesciato da una rivolta popolare, l’11 aprile 2019. Sono rimaste lì anche dopo. Era una crisi che ci si aspettava, poiché il paese ora disponeva di due distinte forze militari, con dimensioni e risorse simili.
Hanno aspettato fino al momento in cui è stato possibile attaccare per prendere il potere: un tentativo di colpo di stato con i primi proiettili sparati il 15 aprile 2023. La milizia ha ormai occupato gran parte della capitale. Si aggirano a piedi e su piccoli veicoli, trasformano i residenti in scudi umani mentre l’esercito li attacca dal cielo. Come la RSF sia diventata così potente, e come abbia avuto accesso ai più grandi giacimenti d’oro del paese è un’altra storia. Quello che voglio raccontarvi qui è una storia su Khartoum.
VENGO DA UNA GENERAZIONE di sudanesi istruiti che per lo più hanno costruito la loro vita fuori dal paese. Alla fine degli anni ’80 e ’90 abbiamo lasciato il Sudan, eppure, come molti africani della diaspora, non abbiamo mai perso il contatto con il nostro paese d’origine. Abbiamo creato le nostre vite altrove. Abbiamo quasi sempre avuto dei beni immobili a “casa”. Molte di queste proprietà erano ben arredate e dotate di tutti i comfort per assicurare il benessere delle nostre famiglie.
Molti sudanesi all’estero hanno speso gli interi risparmi della loro vita in proprietà a Khartoum, anche per affittare, per la propria famiglia o per uso personale durante le loro visite annuali o in previsione del loro ritorno definitivo dopo il pensionamento. In un paese in cui il sistema e le istituzioni sono in fallimento e vi sono poche opportunità di investimenti, i sudanesi che potevano hanno messo molte risorse nelle loro case, case che ora vengono occupate e saccheggiate. Per chi aveva affari, e denaro in banca, tutto è diventato inutile il giorno in cui è scoppiata la guerra. Le persone non possono accedere ai propri soldi, e sono diventate povere dall’oggi al domani.
NEGLI ANNI ’80 E ’90 le linee guida edilizie sono cambiate e Khartoum si è densificata in modo significativo. I lotti abitativi che in prima avevano una casa familiare ad un piano solo ora hanno appartamenti di 3 o 4 piani visto che la città ha iniziato ad espandersi verticalmente. Man mano che la città ha subito una forte urbanizzazione, le dinamiche immobiliari si sono adattate per accogliere i nuovi arrivati, ma anche per ricevere le massicce iniezioni di denaro dei sudanesi all’estero. In un paese povero e segnato dall’instabilità politica, Khartoum era l’unica città del paese che avesse una parvenza di servizi sanitari ed educativi, un aeroporto internazionale e l’accesso ad altre opportunità. La gente ha investito massicciamente a Khartoum. L’investimento in proprietà immobiliari e costruzioni è stato percepito come un rischio ridotto in un contesto di grande incertezza. Il reddito da affitti è – era – l’unica forma di finanziamento della pensione per molti cittadini di Khartoum.
Quindi, mentre la città continua a essere distrutta a causa delle battaglie quotidiane tra i due gruppi armati, mentre si perdono vite e le famiglie vengono separate, è impossibile non interrogarsi sulla perdita di tutto ciò che le persone hanno acquisito nel corso della loro vita, e quali saranno le conseguenze di tali perdite. I sudanesi di tutto il Sudan, ma soprattutto di Khartoum, si sono diretti via terra verso le città di confine per recarsi in Egitto, Etiopia e Arabia Saudita, oltre che in Ciad a ovest. Molti si sono rifugiati in città e villaggi vicini dove sono in attesa di vedere cosa accadrà. Più a lungo si prolunga questa guerra, peggiore è la crisi umanitaria. Lasciare Khartoum significa lasciarsi alle spalle attività generatrici di reddito, accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria; lasciare Khartoum significa una crisi umanitaria di grande portata che avrà un impatto non solo sul resto del Sudan ma sull’intera regione, poiché oltre 6 milioni di persone perdono tutto ciò che hanno mai avuto.
PER NOI SUDANESI della diaspora, perdonateci se appariamo distratti e confusi, tristi e addolorati. Khartoum è una città che ci sta a cuore; è la città che amiamo. Troverai questo amore nelle nostre poesie e canzoni. Molti di noi provengono da altre zone del Sudan, eppure Khartoum era ancora la nostra casa e un simbolo della nostra identità nazionale collettiva. La sua posizione geografica unica, il suo patrimonio e la sua cultura sono preziosi per noi. Siamo preoccupati per i membri della nostra famiglia e per la loro sicurezza, ma piangiamo anche la perdita di una città a cui teniamo.
Questa vicenda mi ha sicuramente fatto capire meglio le lotte degli altri in tutto il mondo; se non altro, spero che l’esperienza mi aiuti a diventare una persona migliore.
* Docente di Architettura e Design industriale alla Tshwane University of Technology, Sudafrica
(traduzione di Laura Burocco)
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