Ken Loach, il volto disumano del libero mercato nella crisi sanitaria
Intervista Il Coronavirus, la working class, la sinistra europea e le prospettive future. Conversazione con il regista inglese
Intervista Il Coronavirus, la working class, la sinistra europea e le prospettive future. Conversazione con il regista inglese
Ricky, il protagonista del suo ultimo film, Sorry We Missed You, fa le consegne porta a porta per una grande azienda di e-commerce, mentre la moglie Abby è un’assistente sociale che lavora con persone sole e anziane. Da sempre vicino alla working class, ai diseredati, alle persone comuni, Ken Loach racconta un nucleo familiare che stenta a sopravvivere dignitosamente nonostante il lavoro continuo e usurante. Personaggi, persone, che tornano vividamente nei pensieri quando si leggono le notizie di questi giorni sull’Europa, e il mondo, prostrati dal Coronavirus, e divisi fra chi può «permettersi» il lockdown e chi è costretto a lavorare, o al contrario rischia di perdere il proprio lavoro. Abbiamo raggiunto il regista inglese al telefono per parlare di questa crisi.
In questo periodo i rider di compagnie come Amazon – il cui fatturato è alle stelle – stanno lavorando come non mai, il più delle volte per consegnare beni non essenziali.
E anche gli assistenti sociali: nel nostro Paese loro sono ancora più in pericolo, perché lavorano senza le protezioni necessarie. Per molti di noi questo dimostra che un’economia di mercato non può attrezzarsi per una crisi sanitaria come questa. È destinata a fallire, come la classe politica che la rappresenta: non è in grado di pianificare. In Uk non ci siamo organizzati per dotarci dei materiali protettivi, per testare le persone, aumentare i posti letto negli ospedali, finché il disastro non ci ha colpiti. Tuttora non facciamo i test necessari, e dottori, infermieri e assistenti sociali lavorano ancora senza protezioni. A soffrire più di tutti sono gli assistenti sociali: leggiamo tutti i giorni di come debbano andare a casa di persone che potrebbero avere il virus ma non lo sanno. E nelle case di riposo stanno morendo in tanti. I lavoratori non hanno le protezioni, le persone anziane vengono semplicemente tenute chiuse nelle loro stanze – molti hanno la demenza senile e non capiscono cosa sta succedendo, non possono vedere i loro parenti.
Solo poche settimane fa il Primo ministro Boris Johnson parlava di immunità di gregge.
Sapevano della crisi da gennaio, e non hanno fatto nulla. Pochi giorni fa hanno chiesto alle aziende di offrirsi volontarie per produrre indumenti protettivi: perché non è stato fatto agli inizi di febbraio? Solo quando eravamo nel pieno della crisi si è cominciato a parlare di costruire altri ospedali. Il problema è il governo del libero mercato – l’idea che lo stato possa organizzarsi collettivamente gli è sconosciuta. Questo non è un buon sistema che funziona in modo inefficiente, ma un sistema inerentemente incapace di pianificare. È una denuncia del capitalismo stesso, non di persone incapaci.
In Italia uno dei motivi per cui il virus ha continuato a diffondersi è che tante fabbriche – specialmente al Nord – sono rimaste aperte e in funzione.
Questo è vero anche in Gran Bretagna. Il governo ha dato istruzioni confusionarie, specialmente alle persone che lavorano nei cantieri. È stato detto: se riuscite a mantenere la distanza di due metri, allora potete lavorare. I cantieri hanno interpretato questa cosa come un permesso per continuare a lavorare, ma naturalmente stare a due metri di distanza non è possibile per i lavoratori edili: lo sanno tutti, è assurdo. È la classe operaia a soffrire di più, perché fa lavori manuali ed è costretta a continuare a lavorare.
Cosa pensa del nuovo leader del partito laburista, Keir Starmer?
Penso che essenzialmente sia un manager della socialdemocrazia, e che il suo istinto tenda alla destra. Credo sia stato intelligente a continuare a lavorare con Jeremy Corbyn, perché questo – il fatto che non lo abbia abbandonato – ha salvaguardato la sua popolarità fra i membri del partito. Ma è stato responsabile del disastro della Brexit, della posizione rovinosa del partito, che ci ha fatto perdere le elezioni. La scelta però era molto scarsa: c’era una sola candidata di sinistra (Rebecca Long-Bailey, ndr), e non era forte come alcuni di noi speravano. Keir Starmer sembrerebbe un politico tipo: un uomo bianco di mezza età, con l’abito buono, un aspetto curato. È un avvocato, sa esprimersi chiaramente e sa destreggiarsi con efficacia nelle conversazioni politiche. Ma non ha alcuna visione radicale, di difesa degli interessi della working class. È stato votato dalla destra del partito, e i mass media sono a loro agio con lui, perché si comporta in un modo a cui sono abituati. Qualche anno fa ho partecipato a un programma televisivo insieme a lui e mi è sembrato che avesse ben poco da dire in merito alle grandi forze di classe in conflitto, era interessato a questioni di management.
Di che tipo di visione il partito laburista avrebbe bisogno in questo momento?
Dovrebbe smantellare la privatizzazione del servizio sanitario: molte delle sue funzioni sono subappaltate a imprese private. Questo deve finire. I servizi pubblici devono essere di proprietà pubblica: i trasporti, le poste, le telecomunicazioni, l’energia, l’acqua. Tutto è privatizzato e tutto deve tornare a essere pubblico, anche per combattere il cambiamento climatico, non solo lo sfruttamento. E abbiamo bisogno di grandi banche di investimento pubbliche per aiutare le regioni affette da disoccupazione e povertà endemiche, come il nord-est. Il programma potrebbe essere immenso, anche solo restando nei confini della socialdemocrazia. Ma il grande problema è: dov’è la sinistra europea? Con la leadership di Jeremy Corbyn avevamo una possibilità, ma non c’è stato alcun movimento di massa proveniente dal resto dell’Europa, siamo stati abbandonati a noi stessi. Non è stata una sconfitta solo della sinistra britannica, ha messo in evidenza l’assenza di una sinistra in tutta Europa.
L’unico movimento di massa che sembra essere nato in questi anni è quello contro il cambiamento climatico.
Che però non è fondato su una politica di classe, gli manca un’analisi strutturale dell’economia dominante. Non si possono controllare le corporation multinazionali, dir loro come e cosa produrre, dove prendere le materie prime. Non si può controllare ciò che non si possiede, e senza controllo non possiamo proteggere il pianeta. Serve una leadership: le masse sono motivate se vedono un problema, ma la leadership deve comprendere le radici del problema. Questo ci riporta all’idea di partito di Lenin: serve un’analisi coerente dell’essenza del movimento, altrimenti si dissiperà.
In questi giorni i migranti continuano a cercare di entrare in Europa, ma il mondo sembra essersi dimenticato di loro – anche se sono fra i più esposti a questa crisi.
Non solo i migranti: i siriani, i rohingya, la gente di Gaza e della Cisgiordania. Gli oppressi ovunque nel mondo. Il virus è probabilmente l’ultimo dei loro pensieri, si preoccuperanno piuttosto di dove mangiare, dove dormire la notte, come sopravvivere. Le persone affollate sulle isole greche, nei campi profughi, nelle favelas latinoamericane: è terrificante pensare ciò che le attende. Credo che questo dimostri che c’è un problema di fondo con la legge internazionale, nelle Nazioni Unite: abbiamo bisogno di leggi che possano venire applicate, ma finché paesi come gli Stati Uniti – e la Russia e la Cina – non le accettano, rifiutano le responsabilità collettive, possiamo fare molto poco.
Anche l’Unione Europea non sembra avere un ruolo positivo in questo momento.
L’Italia è stata lasciata da sola, come la Grecia. L’Europa del nord ha voltato le spalle: dovremmo affrontare questo problema insieme, ma risolvetevelo da soli. Penso che l’ipocrisia dell’Europa, nel momento in cui deve affrontare un problema comune, sia mostruosa.
Il cinema come dovrebbe affrontare questa crisi?
Il problema di fondo è che in primo luogo i cinema devono esserci, perché – per me – la tendenza a vedere i film a casa, il modello Netflix, è disastrosa. E la scelta di film nei multiplex sta diventando sempre più scarsa, il cinema indipendente viene sempre più lasciato fuori. L’unico modo di sopravvivere, credo, è che le sale siano di proprietà dei comuni, e la programmazione venga gestita da persone che amano i film. I cinema devono essere trattati come le gallerie d’arte, con investimenti pubblici, e proiezioni di film provenienti da tutto il mondo. Potrebbero essere dei posti bellissimi dove le persone possono di nuovo godersi i film, tutte insieme. Le commedie per esempio: il riso è contagioso, e guardare una commedia a casa propria non è come farlo con una folla di persone che ridono. E se c’è qualcosa di commovente o tragico, lo si avverte molto di più insieme a un pubblico, invece che seduti nella propria stanza, fermandosi ogni tanto per preparare una tazza di the.
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