Il giudice per le indagini preliminari Samuele Corso ha disposto che la capitaneria di porto di Trapani, in qualità di custode, rimetta a nuovo la nave umanitaria Iuventa. Era stata sequestrata il 2 agosto 2017 nell’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contro 21 membri degli equipaggi di Jugend Rettet, Medici Senza Frontiere e Save The Children. Kathrin Schmidt è tra loro.

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Che significa «ripristinare la Iuventa»?

Siccome la nave è in condizioni terrificanti il giudice ha stabilito che l’autorità responsabile della custodia, cioè la capitaneria di porto di Trapani, deve riparare tutti i danni che sono avvenuti nei cinque anni di sequestro. Deve dunque riportarla alla situazione iniziale e poi mantenerla così. Mi chiedo davvero come possano farlo. Ci vorrebbe un miracolo per mettere la Iuventa a nuovo.

Perché in che condizioni è la nave?

L’ultima volta che sono salita a bordo, a ottobre dello scorso anno, è stato uno shock. Ero lì quattro anni prima quando fu sequestrata perché in quella missione ero a capo delle operazioni. L’ho ritrovata distrutta. Dentro era tutto rotto. Non si sono presi cura di nulla. La ruggine è ovunque. Sono state rubate molte apparecchiature. Per entrare noi abbiamo avuto bisogno del permesso della guardia costiera ma ci siamo accorti che negli anni altre persone avevano fatto visita alla Iuventa. Soprattutto quando è stata spostata in una zona del porto meno controllata.

La decisione del giudice è una rivincita per voi?

Rivincita non è la parola giusta. È un provvedimento che sarebbe dovuto arrivare cinque anni prima. Si porta dietro un po’ di cinismo, ma è comunque importante perché stabilisce che è illegale usare contro di noi e le organizzazioni che si occupano di ricerca e soccorso questa arbitrarietà. Non è una rivincita, è solo senso comune.

Rischia fino a 20 di carcere. Ha avuto modo di leggere tutti gli atti dell’accusa?

No. Non abbiamo avuto questa possibilità perché non sono stati tradotti. Parliamo di un fascicolo di 28mila pagine, che è la base delle accuse mosse contro di noi. Dentro ci sono i reati che secondo loro avremmo commesso: nonostante abbiamo richiesto due volte di tradurre tutto in una lingua che possiamo comprendere ci è stato negato. Dobbiamo fare affidamento su un riassunto della polizia. Questo non ci mette in condizione di difenderci. Già in questa fase, dell’udienza preliminare, non può essere considerato un giusto processo.

Il capitano Dariush Beigui ha partecipato a tre udienze a Trapani da maggio a oggi. Perché non è stato interrogato?

Ha viaggiato tre volte dalla Germania alla Sicilia come richiesto. Ogni volta si è dovuto interrompere l’interrogatorio perché l’interprete non era adeguato. Non erano in grado neanche di tradurre parole basiche e fondamentali per un’aula di tribunale. Nell’ultima occasione le domande sono state fatte direttamente dal procuratore ma con lo stesso interprete che avevamo rigettato. Per la prima volta nella sua carriera il nostro avvocato, Nicola Canestrini, non ha firmato un verbale di interrogatorio perché la traduzione non era corretta.

Lei è sotto indagine da cinque anni ma il processo non è ancora iniziato. Come si sente?

Sono frustrata e arrabbiata per la quantità di tempo, soldi ed energie che abbiamo dovuto investire in questa vicenda. È diventato sempre più chiaro che non riguarda la giustizia, ma la sistematica criminalizzazione delle migrazioni. Prendersela con il soccorso in mare è solo un modo per attaccare le persone in movimento. Nn siamo noi l’obiettivo principale, ma chi viaggia in cerca di protezione e viene ucciso ogni giorno dalle politiche dei governi. L’Italia ha speso tutto questo tempo a dire che noi siamo dei criminali, ma i veri crimini sono commessi dagli Stati europei.