Júlia Vásárhelyi, giornalista freelance ed editrice, già capo servizio al settimanale di politica ed economia Hvg. Che idea si è fatta del caso Salis?
Non so cos’abbia fatto Salis, l’anno scorso, nel cosiddetto Giorno dell’onore, le accuse sono vaghe, ancora non provate, non ci sono testimoni e le presunte vittime non hanno sporto denuncia. Ma allora com’è possibile che l’ambasciata italiana a Budapest sia stata presente più volte alle udienze precedenti e non abbia informato il governo italiano che la donna era già stata portata alle udienze in un modo così umiliante? Che era detenuta in condizioni disumane, che per sei mesi non aveva potuto parlare con i suoi avvocati e incontrare i genitori, e che non aveva ricevuto gli atti di accusa in italiano o in inglese? Il governo italiano sapeva tutto e non ha reagito per un anno? Perché il processo è iniziato ed il caso è scoppiato proprio un giorno prima della convocazione di un vertice straordinario sul sostegno finanziario Ue dell’Ucraina che Orbán aveva bloccato per mesi? Pare poi che siano stati Meloni e Macron a convincere Orbán a togliere il veto. Vedo che sullo sfondo ci sono diversi giochi politici di cui il caso di Ilaria Salis è solo uno strumento.

In che senso?
Forse Meloni e Orbán si ricattano a vicenda perché, una volta grandi amici e alleati, adesso non sono più d’accordo su tutto: la posizione della Meloni è chiaramente pro Ucraina, quella di Orbán pro Putin, poi ci sono grandi differenze tra i due riguardo ai rapporti con l’Ue, la Nato e gli Stati Uniti. Però hanno bisogno l’uno dell’altra soprattutto in vista delle elezioni europee. Il partito di Orbán e stato praticamente espulso dal gruppo dei Popolari ed è alla ricerca di un nuovo gruppo di estrema destra, mentre la Meloni, soprattutto a causa dei conflitti interni con Salvini, ha bisogno di rafforzare le sue alleanze e avere nel suo gruppo di conservatori e riformisti il maggior numero possibile di deputati Ue. Sullo sfondo c’è Putin che, con l’aiuto di Orbán, sta operando in modo sempre più aggressivo sulla disgregazione dell’Occidente e dell’Ue. E infatti, nell’Ue, Orbán è considerato da molti il cavallo di Troia di Putin. Chissà come tutto ciò influenzerà il destino della Salis.

Quanto si parla del caso Salis in Ungheria?
I media ungheresi sono per il 90% nelle mani o sotto il controllo del governo. La radio e la televisione pubbliche, che sono solo strumenti di propaganda dell’esecutivo, non danno informazioni riguardo al caso, ci sono solo commenti di giornalisti e di politologi pro-Orbán al cento percento, cioè propagandisti del suo regime illiberale e autocratico. Chiamano Salis terrorista, picchiatrice neocomunista, bugiarda, un rifiuto che merita una severa punizione. Dei pochissimi media indipendenti o dell’opposizione, praticamente solo i giornali online hanno coperto il caso per un giorno o due, quindi la notizia ha raggiunto la gente, ma anche se lo avesse fatto non credo che la cosa avrebbe avuto tanta risonanza.

Perché?
Gli ungheresi sono apatici, indifferenti, accettano con rassegnazione il regime autoritario di Orbán, come se il fatto che viviamo in un’autocrazia non li toccasse. Purtroppo in pochissimi sono interessati alle questione relative ai diritti umani. Raramente accade che qualcosa scuota l’opinione pubblica. È successo ora, inaspettatamente: una settimana fa è emerso che la presidente della repubblica, Katalin Novák, aveva graziato, quasi un anno fa, il vicedirettore di un istituto per l’infanzia, condannato per aver coperto per anni gli abusi del direttore pedofilo. L’indignazione è stata tale, e lo scandalo così grande, che la presidente è stata costretta a dimettersi sabato scorso, sicuramente per ordine di Orbán. Purtroppo, però, non credo che questo scuota il regime, al massimo creerà qualche crepa. Novak era un fantoccio nelle mani di Orbán, era chiamata la sua penna a sfera; firmava, senza guardare, tutto ciò che le veniva messo sulla scrivania. Come l’ex ministra della giustizia, dimissionaria anche lei. Orbán troverà presto un nuovo fantoccio obbediente; ne ha ancora molti di riserva.

Quanto si parla in Ungheria dei diritti dei detenuti?
La maggioranza degli ungheresi non se ne preoccupa, non sa nemmeno cosa siano questi diritti. Sanno bene che le carceri sono terribilmente sovraffollate, l’assistenza è scarsa. La tesi ufficiale è che in Ungheria le forze dell’ordine sono cosi efficaci che catturano tutti i criminali per la nostra sicurezza e che chi ha commesso un delitto va punito, in pratica soprattutto quando si tratta di rom e di stranieri. Ovviamente ci sono eccezioni: le persone vicine al potere. In Ungheria lo stato di diritto è stato sistematicamente e quasi totalmente demolito da Orbán e dalla sua banda. Solo formalmente ne esistono ancora dei resti, vedi le numerose procedure d’infrazione dell’Ue.

Sulle manifestazioni neonaziste dello scorso fine settimana?
Da quando il caso Salis ha iniziato a suscitare tensioni politiche e diplomatiche all’estero – al Parlamento europeo si è anche tenuta una sessione plenaria sull’argomento – le manifestazioni neonaziste, tollerate per anni, quest’anno sono diventate imbarazzanti per il potere e per le autorità ungheresi, quindi sono state formalmente vietate. La polizia è stata in massima allerta per due giorni a Budapest al fine di prevenire gli scontri tra i neonazisti e gli antifascisti. Però questa volta non ci sono stati incidenti.