Tre anni dopo, il Cile dell’estallido social, di una rivolta tanto estesa da assomigliare a una rivoluzione, sembra un lontano e scomodo ricordo. A destra – risorta dalle sue macerie, non senza la complicità, come sempre, di un parte del centro-sinistra – c’è ora chi ne parla persino come di un tentato golpe.

Difficile, all’indomani del trionfo delle forze per il No alla nuova Costituzione, spiegare che fine abbia fatto quell’ansia di cambiamento, quella sete di giustizia, quella rabbia per le feroci disuguaglianze permesse, mantenute e alimentate dai “partiti dei 30 anni”, quelli della mai compiuta transizione democratica.

«Dobbiamo lasciar decantare», dice la leader ecofemminista Judith Ress, fondatrice del collettivo Con-spirando, impegnato nell’elaborazione di nuove visioni nell’ambito della spiritualità, dell’etica, della politica, del corpo. A sinistra, afferma, ci vorrà tempo per capire cosa sia successo. E come riprendere la lotta.

Come si spiega una sconfitta tanto cocente per il fronte del Sì?
È difficile tracciare già un’analisi approfondita di quanto è avvenuto. Tutte e tutti noi che ci siamo mobilitati per l’Apruebo siamo un po’ sotto shock. Tanto più per l’entità della sconfitta: appena il 38% di Sì alla nuova Costituzione contro il 62% di No. Mi sembra chiaro che la proposta emersa dalla Convenzione costituzionale sia stata percepita come divisiva. I sondaggi davano man mano conto di una sfiducia crescente nei confronti dei costituenti, accusati di seguire, con presunzione e intolleranza, l’agenda della “sinistra radicale”: del femminismo, dei popoli originari, degli ecologisti. E, in un paese ancora profondamente classista e razzista, a molti non andava giù che la prima presidente della Convenzione fosse una donna mapuche, Elisa Loncón. Senza dubbio, il contenuto della nuova Carta aveva un forte carattere progressista: molti hanno addirittura parlato di un testo ri-fondativo. E avrebbe segnato una profonda discontinuità rispetto all’attuale capitalismo neoliberista.

E la popolazione cilena questa discontinuità non l’ha voluta?
Alla fine la popolazione si è rivelata molto più cauta e, perché non dirlo, molto più spaventata dalla possibilità di cambiamenti strutturali. Come per esempio quello relativo all’eliminazione del Senato e alla sua sostituzione con una nuova Camera delle regioni pensata come un organo «paritario e plurinazionale di rappresentanza regionale». Una proposta chiave per la sinistra, che ha sempre visto nel Senato lo strumento per bloccare qualsiasi processo di cambiamento. Ma a mio giudizio la ragione più forte per il Rechazo è venuta dal concetto di plurinazionalità. È strano che a Santiago la popolazione più povera e vulnerabile – che ha sempre votato per la sinistra – abbia optato per il No. Penso che abbia prevalso la paura che il Cile si divida, che i mapuche recuperino le terre che sono state loro usurpate cacciando le imprese forestali e i latifondisti. La gente ha paura della violenza che si registra nel sud.

Quanto ha influito la campagna di fake news da parte delle destre?
Non c’è dubbio che le reti sociali abbiano svolto un ruolo fondamentale nella formazione della coscienza della popolazione. Ed è a tutti noto come la grande stampa (El Mercurio, La Tercera) e la televisione siano controllate dalla destra. Non è certo un segreto che la campagna del Rechazo sia stata generosamente finanziata dalle grandi imprese.

Non sarà stato anche un voto di castigo verso il governo Boric, accusato di non aver mantenuto le promesse di cambiamento iniziali?
Molti sostengono che il no alla nuova Costituzione sia in realtà un no al governo, ma io non ne sono così sicura. E continuo a fidarmi del presidente.

Cosa succederà adesso?
Chile Vamos, Amarillos por Chile (un gruppo di centro e centro-sinistra che ha optato per il Rechazo) e un gruppo dissidente della Democracia Cristiana che pure ha votato No si sono detti disponibili a realizzare una riforma costituzionale, ovviamente più moderata. Di sicuro, al plebiscito del 2020, l’80% della popolazione si è espressa a favore di una nuova Costituzione, in cui i diritti sociali vengano garantiti e l’acqua sia riconosciuta come diritto umano. La Costituzione di Pinochet non è più praticabile.

Non ci sarà il rischio di una nuova rivolta?
Per il momento non credo. Tanto i partiti di sinistra quanto i movimenti sono chiamati ora a una riflessione profonda su come andare avanti. Da buona femminista, penso sia necessario un processo di autocritica.