Juan Carlos Onetti, gravidanza assassina con indagine sospesa
Novecento uruguaiano «La morte e la bambina», da Sur
Novecento uruguaiano «La morte e la bambina», da Sur
Pochi scrittori hanno saputo mettere a disagio il proprio «lector in fabula» con la stessa maestria di Juan Carlos Onetti: l’universo letterario dell’autore uruguaiano nasce dal gesto metanarrativo del protagonista di La vita breve (1950), l’indimenticabile Brausen, che al culmine dello sconforto inventa la località immaginaria di Santa María per poi prendervi cittadinanza in quanto personaggio. Dal «pozzo» – come recita il titolo del primo libro di Onetti – di questo mondo ficto viene fuori una intera opera fatta di romanzi e racconti più o meno lunghi, in cui Brausen viene assunto come demiurgo, come sacerdote, come dio.
Consapevoli di essere creazioni letterarie, gli abitanti di Santa María riconoscono Brausen come propria divinità tirannica, e al centro del paese erigono la sua statua, celebrazione di una onnipotenza capricciosa e al contempo di una presenza proteiforme: a metà del racconto La morte e la bambina (traduzione di Gina Maneri, introduzione di Gianni Montieri, Sur, pp. 115, € 10,00), finora inedito in Italia, il dottor Diaz Grey, altra figura ricorrente in Onetti, si accorge uscendo dal suo studio che la grande statua ha mutato il proprio aspetto nottetempo, e Brausen ha assunto i connotati di una vacca (!). L’ immagine rende bene il mistero e il senso di indeterminatezza che aleggia sull’opera di Onetti.
La morte e la bambina, incursione «tarda» dell’autore nella sua casa letteraria (il racconto è del 1973), segue la vicenda di un giovane che viene in qualche modo accusato perché la sua compagna è rimasta incinta (di una creatura che, una volta al mondo, verrà detta indifferentemente figlia o assassino), quando i medici l’avevano avvisata che il prezzo sarebbe stato la morte. L’aborto non è contemplato, e nel dramma si insinua la questione religiosa. Di chi è la colpa? Quasi al ritmo di una novela policíaca, se un «colpevole» verrà alla luce, sarà comunque fuori cornice.
Tutto avviene sotto gli occhi di Diaz Grey, qui nelle vesti di impotente detective, la cui vicenda personale si intreccia alla breve parabola sul delitto e sull’assurdità di qualsiasi idea di castigo. Dalla prima all’ultima pagina, si sospetta che quanto viene detto interessi relativamente al narratore, o che egli ci proponga una «storia di copertura» che faccia da sipario a qualcosa di decisivo la cui vista ci è interdetta. È il grande mistero che protegge Santa María: Onetti preserva, come d’abitudine, la concretezza del tratto, unicamente per rivelare i sentimenti che attraversano i suoi libri e che compongono via via una tutto sommato dettagliata tragedia collettiva. Che si offre sospesa in un tempo indefinito e ricurvo: il lettore vi scivola dentro, e subisce la stessa sorte di Brausen nella Vita breve, restandovi impigliato, e rendendosi conto troppo tardi di essere anche lui esposto a una specie di mutazione, man mano che il racconto gli cola sulle mani attraverso le pagine del libro. Onetti lo ha rapito e sta portando il suo corpo senza peso nei bassifondi di Santa María. Come direbbe il narratore di La morte e la bambina: «a Brausen piacendo, naturalmente».
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