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Johnson appeso a un filo, «ma io non sapevo»

Johnson appeso a un filo, «ma io non sapevo»Boris Johnson – Ap

Gran Bretagna Il premier quasi in lacrime in attesa dell’esito dell’inchiesta della funzionaria Sue Gray

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 19 gennaio 2022

Nobody told me, nessuno mi aveva detto. Suona come la vecchia B-side di John Lennon il disco rotto di Boris Johnson, la cui premiership è appesa ormai da giorni a un filo per il pateracchio dei party plurimi “di lavoro” a Downing Street in pieno lockdown.

In un’intervista televisiva rilasciata ieri a Sky News durante una visita a un ospedale di Finchley, nord di Londra, dopo aver completato la quarantena – scattata dopo che un membro della sua famiglia era risultato positivo – il premier ha ripetuto per filo e per segno le dichiarazioni di innocenza e le profferte di scuse già sciorinate mercoledì scorso davanti al Parlamento.

«Nessuno mi aveva detto che quello che stavamo facendo era contro le regole, che l’evento in questione non era qualcosa di non lavorativo recandomi in quel giardino pensavo di partecipare a un evento di lavoro». Il tutto prevedibilmente impreziosito con ulteriori, sofferte, e spassionate scuse al paese e anche alla monarca.

Sì perché nel double bill dell’orrore che attraversa l’establishment nazionale – con le perduranti disavventure criminali del terzogenito Windsor, Andrew, a fare da pendant – due delle festicciole lavorative a Downing Street si sarebbero addirittura tenute la sera prima dei funerali del principe consorte, lo scorso aprile: uno sgarbo che suonerebbe eccessivo da parte del più sfegatato dei premier repubblicani, figuriamoci per l’aristo-monarchico Johnson. Che ha poi ugualmente ribadito per l’ennesima volta di essere in attesa dell’esito dell’inchiesta condotta dalla funzionaria Sue Gray prima di risponderne.

Era un Johnson lontano anni luce dal suo solito sé smargiasso: lacrimevole, quasi lacrimante, in lui la contrizione sembra aver lasciato il passo allo scoramento e alla rassegnazione. Sa che la sua deposizione non è mai stata così probabile: finora i deputati che hanno dichiarato pubblicamente la sfiducia nei suoi confronti sono sei, mentre il coro di Labour, Lib-dem e nazionalisti scozzesi del Snp da giorni ripete ininterrottamente il mantra dimissioni.

Impossibile dire se il quorum necessario di lettere di sfiducia – secondo il meccanismo elettivo del leader del partito conservatore devono essere 55 – sia stato raggiunto. Solo il destinatario, il segretario del 1922 Committee, conosce i numeri. Eppure, superare anche questa sembra davvero troppo, anche per il mattatore della politica britannica di questi ultimi anni.

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