«One to one: John & Yoko»
«One to one: John & Yoko»
Visioni

John, Yoko, immagini di una rivoluzione

Venezia 81 La vita dei due artisti al Greenwich village tra il 1971 e il 1973. L’impegno per la pace, contro Nixon e in aiuto dei «matti da slegare». Il documentario di Kevin McDonald a Venezia 81. «Imagine» ripulita dallo zucchero. Per Giorgia Meloni era «un inno alla omologazione»
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 31 agosto 2024

Qualche anno fa Giorgia Meloni, in una di quelle polemiche che ci immalinconiscono le giornate, disse che Imagine era «un inno all’omologazione mondialista», bellissima canzone per carità basta che non si capiscano le parole, aggiunse. Motivo sufficiente per tenercela da conto, nonostante sia «coperta di zucchero» come si era già scusato una volta John Lennon che subito dopo averla scritta nella sua magione di campagna inglese era volato a New York con Yoko Ono per restarci fino all’ultimo dei suoi giorni.

Tra il 1971 e il 1973 la coppia visse in due stanzette al Greenwich Village, nella città che allora era una capitale delle sperimentazione artistica e politica universale. Con la sinistra radicale, i poeti, i cantautori pazzi, i musicisti d’avanguardia, Allen Ginsberg, David Peel, il movimento contro la guerra in Vietnam, condivisero la grande illusione e l’enorme sconfitta del 1973. Nonostante la guerra, la gente nelle strade, il voto concesso ai diciottenni, Nixon ebbe il suo secondo mandato, cancellò il candidato democratico McGovern, il buono. Una sconfitta lontana ma troppo vicina ancor oggi per non essere un fantasma, nero, deprimente, ingiusto. Storia di ieri, storia di oggi.

NEL DOCUMENTARIO One to One: John & Yoko, presentato ieri a Venezia nel fuori concorso in anteprima mondiale, il regista Kevin McDonald ricostruisce con precisione il primo piccolo appartamento della coppia a New York: quasi solo un grande letto davanti al televisore dove passavano le giornate. Disattivismo a scopo copulativo, avrebbe detto Luciano Bianciardi, un’installazione artistica (i bed-in per la pace), buddismo (luddismo?) e comunismo, tra le lenzuola. L’America e il mondo confuse in un flusso televisivo di news, spot, talk show, varietà. Così, in questo zapping che il documentario ripete per noi spettatori con fedeltà e scrosci orizzontali, Jonn e Yoko seppero delle condizioni pessime in cui versavano i piccoli degenti al manicomio di Willobrook: cinquemila ragazzini abbandonati a loro stessi, un inferno di matti da slegare. Organizzarono per loro un concerto di beneficenza al Madison Squadre Garden. E quella resta una delle poche apparizioni di Lennon dopo i Beatles. Girava da tempo in una vecchia registrazione. Ripulita da Sean Ono Lennon, ritrova la brillantezza irresistibile del rock’n’roll guerrigliero di suo padre, quel prendere e lasciare alla maniera del venerato Fats Domino: Come together, Mother, Give peace a chance, e tutto lo spazio lasciato alla voce collettiva, power to the people. Proprio come le opere di Yoko Ono, che chiedevano ogni volta alla gente di essere vissute e completate. La stessa Yoko aggiunge il suo grido in una performance magnetica e meravigliosa di Kyoko, dedicato alla figlia che l’ex marito aveva portato lontano, in Giappone.

«One to one: John & Yoko»
«One to one: John & Yoko»

IMAGINE, insomma, la riascoltiamo quasi sul finale del concerto. McDonald ci monta sopra le stesse immagini del documentario Nbc che svelò all’America il caso di Willowbrook. Così, sembra di riascoltarla per la prima volta. John e Yoko, due pianoforti davanti, cosa che da sola provocava il maschilismo dei vecchi rockettari. La vera spinta politica che in coppia regalò ai compagni di strada, la sinistra radicale americana al punto più di alto di elaborazione, fu la forza dell’infanzia e dell’immaginazione, il bambino dentro di sé, l’innocenza delle canzoni dei Beatles, le possibilità aperte di Fluxus, la terapia dell’ Urlo Primario del dottor Kaprow. E il femminismo. Bisognava cambiare se stessi per cambiare il mondo.
(Ri)vediamo le immagini del raduno in sostegno della rivolta nel carcere di Attica, la manifestazione per John Sinclair (condannato a dieci anni per possesso di marijhuana), la canzone scritta per lui. Lennon porta la camicia dell’esercito americano perché la guerra toccava tutti (come oggi la Kefia e Gaza?). In una telefonata anticipa al suo manager l’idea: in ogni città toccata dai suoi concerti pagare le cauzioni ai poveretti in carcere con parte dell’incasso: free the people. Nel periodo in cui l’Fbi controllava le sue telefonate e minacciò per anni di ricacciarlo al di là dell’oceano, lui si registrava le telefonate a sua volta, quasi una guerriglia dadaista che però ci consente oggi di riascoltarle.

NEI LORO CONCERTI Yoko e John avrebbero voluto coinvolgere Dylan, che – diceva Jerry Rubin – era l’anima di tutti, ma Dylan non c’era, spaventato dal cannibalismo della politica. In una surreale telefonata cercano di convincere AJ Weberman, l’uomo che frugava nella spazzatura del cantautore per denunciarne il tradimento, a smettere. Niente Dylan, alla fine. Lennon prese in parte sulle spalle, nelle sue ballate, il suo fantasma. Lo portò fino alla grande contestazione al congresso repubblicano di Miami, con arresti e feriti. Proprio come nella canzone Revolution, quando la distruzione e la violenza presero possesso delle cose, count out, si tirò fuori.

In un’altra registrazione telefonica Yoko Ono cerca uno sciame di mosche per una sua installazione. È un momento piuttosto comico. Ma ai più attenti non sfugge il nome della segretaria che gestisce la pratica, May Pang. È la ragazza con la quale Lennon scapperà brevemente a Los Angeles in quello che passa per essere il «weekend perduto» della sua biografia. Questo nel doc non c’è, ed è comprensibile. C’è invece l’arrivo al Dakota Building , il castello sopra Central Park, la nascita di Sean. La delusione che seguì fin da subito al tracollo politico, la paura di essere espulso dal paese, l’inquietudine artistica, lo cacciarono in una depressione che attraversa tutti i suoi ultimi anni, mai troppo indagati per delicatezza, così incredibilmente umani e “nostri” anche nella debolezza della sconfitta e dell’attesa.

Errata Corrige

Due immagini 

dal documentario 

«One to one: John & Yoko». A sinistra, 

la contestazione 

della Convention repubblicana del 1972 che porto Nixon 

al secondo mandato

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