John Florio, in arte Shakespeare
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John Florio, in arte Shakespeare

Intervista Umberto Mojmir Jezek nel suo libro cerca le prove sulla vera identità del bardo
Pubblicato circa un anno faEdizione del 7 ottobre 2023

Che il William Shakspere sepolto a Stratford on Avon sia l’autore delle opere firmate William Shakespeare sono in parecchi a dubitarlo, o a non crederlo affatto. Per citarne solo alcuni tra i più noti, Henry James, Sigmund Freud, Charlie Chaplin, Mark Twain, Walt Whitman, James Joyce, John Huston, Vanessa Redgrave, Jorge Luis Borges, Eugenio Montale («sono sempre stato convinto che Shakespeare fosse una cooperativa»). Borges disse una cosa, che riletta oggi acquista un particolare valore: «Non so perché, ma sento sempre qualcosa d’italiano, qualcosa di ebraico in Shakespeare».

Una decina di anni fa, in un baretto di Corfù che vendeva risogalo, Umberto Mojmir Jezek chiaccherando con un suo amico viene a sapere della cosiddetta teoria Crollalanza, che indica in un angloitaliano, il vero autore delle opere di Shakespeare. Da sempre appassionato di storie controverse, Jezek approfondisce l’argomento e scopre presto che la Crollalanza è una storia affascinante ma infondata, che mescola fatti veri a fantasie, senza alcun riscontro.

Giornalista, illustratore, pittore e scultore romano di origine ceca, a maggio Jezek ha pubblicato Chi ha scritto Shakespeare? (grausedizioni, pag. 117, euro 18) nel quale rilancia l’ipotesi che dietro Shakespeare vi sia John Florio, ma questa volta ci sono documenti e analisi molto convincenti a sostenerlo. Non la pensa così l’establishment inglese e i percettori del flusso costante di sterline versato dai milioni di turisti che fanno visita a Stratford on Avon, per essi Shakespeare deve essere inglese a tutti i costi. John Florio si definiva «Italus ore Anglus pectore» Italiano di lingua- Inglese nel cuore.
A Jezek la parola:

Chi è il William Shakespeare sepolto a Stratford on Avon?

Il suo vero nome è Shakspere, era un attore e impresario teatrale. Il nome è presente nell’atto di nascita, in quello di matrimonio e anche nell’atto di morte. Il nome Shakespeare è uno pseudonimo creato da John Florio, tanto che metà delle opere sono firmate Shake-Speare col trattino in mezzo, all’epoca molto usato negli pseudonimi, come per esempio Tom Tell-truth e Martin Mar-prelat. Alla morte di Shakpere un antiquario della zona ha disegnato un busto funebre che ritrae un borghese grassottello con un sacco di grano, perché lui commerciava grano. Un secolo dopo nel 1760 o giù di lì quel monumento è stato rifatto con una faccia più nobile, meno da borghesotto di campagna, ma soprattutto è stato tolto il sacco di granaglie, sostituito da una carta e una penna d’oca a indicarne la natura di scrittore.

William Shakspere è stato un attore per alcuni anni, non di grande fama, ma è stato anche l’impresario teatrale della compagnia e credo abbia avuto in quel ruolo grandi qualità, aveva fiuto sui gusti del pubblico tant’è che ci ha fatto parecchi soldi, ma non è documentata alcuna lettera, nessun carteggio, cosa incredibile per un autore, un intellettuale di quegli anni. Sono rimasti solo un po’ di contratti immobiliari, di vendita del grano, multe per non avere pagato le tasse e sei firme, tutte scarabocchiate, macchiate, sporche, fatte da uno che è evidente non è abituato a scrivere. Aveva due figlie, una sapeva appena scrivere, l’altra che firmava con la croce, non sono ipotesi, è tutto documentato. Per difendere i loro dogmi gli stratfordiani dicono ehe a quell’epoca solo le ragazze di buona famiglia, aristocratiche, venivano educate, ma un autore di una cultura vastissima e multiforme che non insegna alle figlie a leggere e scrivere mi sembra una assurdità. Al suo funerale non ci andò nessuno. Altra cosa impossibile è che un uomo come lui non abbia nemmeno un libro, nemmeno la Bibbia, non ci sono libri nel suo testamento, e i libri a quel tempo erano un valore. John Florio aveva una libreria di 340 novelle e cose italiane, spagnole, francesi e latine, e un numero ancora maggiore di testi in inglese. Nella sua lettera testamentaria cita titolo per titolo questi 340 libri che lascia alla famiglia dei conti Pembroke. Le opere firmate Shakespeare sono in gran parte riprese dalla novellistica italiana, opere che però all’epoca non erano ancora state tradotte in inglese ma erano presenti nella biblioteca di Florio. Per fare qualche esempio, Otello fu sviluppato a partire da una raccolta di novelle di Giambattista Giraldi Cinzio (Ferrara 1504-1573), Giulietta e Romeo da opere di Giambico, Senofonte Efesio, dalle Metamorfosi di Ovidio e dalla Divina Commedia, Il mercante di Venezia da una novella di Giovanni Fiorentino, autore trecentesco.

Che fine hanno fatto tutti questi libri?

Non si sa, forse sono stati dispersi, forse sono nascosti, sono tutte illazioni. Uno studioso alla fine degli anni ’50 ha scritto alla regina Elisabetta e dopo un anno o due a Tony Blair chiedendo notizie su quei libri ma non ha mai avuto risposta. Ci può essere il sospetto che sia tutto insabbiato.

Già nella sua epoca si contesta la reale identità di Shakespeare…

Questo è un altro punto nodale. Nel 1592 lo scrittore Robert Greene, alcolizzato e morente, avverte il suo amico e collega Thomas Nashe: «Di quelli non vi fidate! C’è un corvo parvenu che si fa bello con le nostre piume e che, con il suo cuore di tigre nascosto nella pelle di un attore, pretende di essere tanto bravo da declamare pomposamente un pentametro giambico come il migliore di voi: ed essendo un assoluto Johannes factotum, crede, nella sua presunzione, di essere il miglior Shake-scene del paese».

Thomas Nashe non si fa pregare: «C’è una penna italianata che affronta la stampa pubblicando un pamphlet ogni tanto, e che montato sul palco dell’arroganza, ruba agli altri e si ammanta delle piume di Ovidio e Plutarco come fossero sue… Sappiamo chi è questo corvo notturno, si nasconde dietro piume altrui e pone l’eternità in bocca a un attore…».

Si parla di un corvo che si ammanta delle piume dei classici e che con il suo cuore di tigre, espressione meravigliosa, si nasconde nella pelle di un attore. Gli stratfordiani pensano che questo sia rivolto a una persona sola, ma Greene dice «attenti a quelli», è un plurale, c’è un corvo dal cuore di tigre e poi c’è la pelle dell’attore. La definizione «cuore di tigre», molto bella molto caratterizzata, è una citazione dall’Enrico VI firmato Shakespeare, ma lì c’è arrivata dai Primi Frutti di John Florio dove parla di una donna col cuore di tigre. C’è un’altra frase importante, la penna italianata, e chi altri se non John Florio è il Johannes factotum?

Chi erano Nashe e Greene?

Erano due scrittori, accademici laureati che vedono in pericolo la loro attività anche teatrale per il successo di quello che chiamano Shake-Scene, scuoti scene, che gli toglie lavoro e prestigio.

Vita e opere di John Florio…

È nato a Londra nel 1552 da Michel Angiolo Florio di Figline Valdarno, come attestano documenti anagrafici. Non si hanno notizie certe della madre. Importante predicatore cattolico Michel Angiolo Florio si è convertito al calvinismo, e da quel momento ha girato tutta l’Italia con rapporti tra i clandestini anticattolici, nelle corti e con Cosimo de’ Medici per cui ha scritto una poesia. Arrestato dalla controriforma è stato imprigionato per due anni circa a Roma a Tor di Nona. Con le sue amicizie e Cosimo de’ Medici che ha agito per farlo liberare è riuscito a scappare e si è rifugiato in Inghilterra. Quando viene restaurato il cattolicesimo scappa di nuovo dall’Inghilterra portando con sé il suo figlioletto di 2 anni.

John Florio visse la sua infanzia a Soglio (Svizzera). Tornò a Londra diciannovenne nel 1571, non è chiaro se con o senza il padre. A 25 anni pubblicò il suo primo libro, Primi frutti (First Fruits), nel 1591 Second Fruits e 6.000 proverbi italiani, molti dei quali presenti nelle opere di Shakespeare. Oltre al Decamerone di Boccaccio, una delle sue opere più importanti è stata la traduzione dei saggi di Montaigne, che hanno avuto un’influenza enorme nella cultura inglese, una grandissima diffusione e sono presenti in tante opere di Shakespeare. Nel 1598 pubblica A World of Words, dizionario italiano-inglese che ha arricchito la lingua inglese con migliaia di nuove parole create a partire da etimologie latine, greche, italiane, francesi, ebraiche.

Perché John Florio avrebbe usato lo pseudonimo Shakespeare?

In Inghilterra in quegli anni c’era un razzismo molto più greve di quello che ci può essere adesso, gli stranieri venivano attaccati. Spagnoli e Italiani erano sospettati di papismo. Florio stesso venne preso a calci col suo amico Giordano Bruno. Per quasi tre anni vissero nell’ambasciata francese di Londra e divennero amici. Ci sono state giornate con parecchi omicidi, era veramente pesante. Giordano Bruno descrive quando con Florio vanno alla famosa cena delle ceneri: «gli inglesi di notte se vedono uno straniero sembrano tanti orsi, tanti lupi». Questo spiega perché Florio non poteva firmare le sue opere teatrali. Gli avevano promesso un coltello che gli tagliasse la gola, si sentiva in pericolo, poi c’è un altro fatto, il teatro in quegli anni era in grande sviluppo ma era anche una cosa non troppo nobilitata, per cui si preferiva firmare con uno pseudonimo. Florio non voleva mettere in ombra la sua posizione sociale, era insegnante di italiano per la nobiltà più importante, per 16 anni il gentiluomo di camera della regina Anna di Danimarca, la moglie di Giacomo I che era succeduto a Elisabetta I. Aveva una posizione molto delicata e non voleva sporcarla con il lavoro un po’ losco del teatro. Ma poi in quel clima di razzismo una commedia firmata da un nome italiano avrebbe lasciato il teatro vuoto, se non addirittura messo a fuoco.

Le vite dei Florio in Shakespeare…

Nelle opere di Shakespeare ci sono riferimenti biografici sia di Michel Angiolo che di John. Nell’Amleto il fatto sostanziale è l’assassinio del re Amleto padre di Amleto, fatto attraverso un veleno messo nell’orecchio. Questo tipo di omicidio è già in sé cosa particolarissima, ma c’è un carteggio di Pietro l’Aretino con Michel Angiolo Florio mentre stanno a Venezia. Nella calle della Frezzeria – citata anche nell’Otello – l’Aretino racconta a Michel Angiolo «l’accidente istrano» di un barbiere che ha ucciso il duca di Urbino mettendogli del veleno nell’orecchio. Altro esempio: Amleto si scaglia contro la madre Gertrude e le dice: «Non te ne andrai prima che ti metta di fronte ad uno specchio in cui tu possa guardarti fino in fondo all’anima». È la stessa frase riportata da Vittoria Colonna in una lettera in cui cita Baldassarre Castiglione, l’autore de Il Cortigiano. Sempre per le influenze di Michel Angiolo ma questa volta nel Racconto d’Inverno, in una lettera l’Aretino racconta a Michel Angiolo che quando è morto Giovanni dalle Bande Nere, per conservarne la memoria ha chiesto a Giulio Romano di fare un calco della maschera funeraria, che colorata l’ha come fatto rinascere. La stessa cosa si trova col ritratto della regina che viene per così dire resuscitata proprio da Giulio Romano, stranamente l’unico artista, e in più italiano, citato nelle opere di Shakespeare.

Anche Montaigne è molto presente da un certo punto in poi nelle opere firmate Shakespeare, come ne La Tempesta nel lungo discorso di Prospero e di Gonzalo, e il saggio su i cannibali, anche quello ricalcato da Montaigne quando la traduzione di Florio non era stata ancora pubblicata. Quella traduzione è quasi una riscrittura, è molto libera, e dal 1963 in Inghilterra c’è il «John Florio Prize» per la miglior traduzione.

Tornando all’Amleto, John Florio fu assoldato da Walsingham, capo dei servizi segreti di Elisabetta I, mentre Mary Stuart cercava di riprendersi il potere e riportare il regno al cattolicesimo. Walsingham con la collaborazione di John Florio scoprì che lei aveva dei complici a Londra con cui scambiava messaggi nascosti nelle botti di birra che venivano consegnati a sir Babington. Intercettate le botti, i messaggi originali vennero sostituiti con false informazioni e risigillati copiando lo stemma di Mary Stuart. Sventato il complotto Mary verrà in seguito decapitata. Questa vicenda viene trasposta nell’Amleto quando lo zio Claudio manda Amleto con Rosencrantz e Guildenstern a Londra via nave con la lettera al re che dice appena aprite questa lettera uccidete Amleto. Durante il viaggio Amleto ha qualche sospetto, va a frugare, scopre la lettera sigillata e siccome anche lui ha il timbro reale sostituisce il messaggio con uccidete Rosencrantz e Guildenstern.

Un’altra delle coincidenze biografiche tra i Florio e gli scritti firmati Shakespeare è una faida che ha coinvolto il duca di Southampton e Florio, una faida tra famiglie con un morto. John Florio per proteggere se stesso e il duca che è il suo patrono, butta in acqua uno sceriffo. Florio ha tradotto in inglese un manuale di scherma di Vincentio Saviolo che aveva la palestra di scherma più alla moda di tutta Londra. Nel Giulietta e Romeo si ripete una faida analoga e si ripetono, in italiano, gli stessi termini usati da Saviolo per descrivere le varie azioni della scherma, le stoccate, le parate e così via.

Dov’è la tomba di John Florio?
È sepolto in una fossa comune, è morto di peste, è morto povero perché dopo 16 anni alla corte con la regina Anna, Giacomo I ha creato una crisi economica per cui ha tolto molti stipendi.

Nel 1623 viene pubblicato il «First Folio»…
È stata la prima pubblicazione di tutte le opere, almeno quelle riconosciute, di Shakespeare, pubblicata 7 anni dopo la morte di Shakspere. Apparentemente è fatta da due attori della compagnia, ma in realtà la redazione è opera di Florio, come sostenuto dal professore Saul Frampton che nel 2015 ha scritto un lungo articolo su The Guardian citando decine e decine di frasi, parole e neologismi mai usati prima né da Shakespeare né da Ben Johnson né da Marlowe, ma usati molto frequentemente solo da Florio.

Il vero volto di Shakespeare…
Nel 2015 la rivista di giardinaggio Country Life, la più diffusa in Inghilterra, apre in copertina con la notizia del secolo: «abbiamo trovato il vero volto di Shakespeare». Il botanico e storico Mark Griffiths autore dello scoop, mostra che in un manuale di botanica della fine del ‘500, The Herball di John Gerard, ci sono i ritratti di quattro personaggi. Uno dei quali lo identifica come l’autore di Venere e Adone, ovvero Shakespeare: in una mano ha un fiore importato in Inghilterra solo due anni prima dallo stesso Gerard, ed è citato nella letteratura solo nel Venere e Adone di Shakespeare. Questo ritratto è identico al ritratto ufficiale che abbiamo di John Florio. Cercando un riscontro ho chiesto al Servizio scientifico investigativo dei carabinieri di fare un raffronto dei due ritratti, e il risultato è che sì quel ritratto è compatibile con quello di John Florio.
Ultimamente stiamo arrivando ad una svolta decisiva nella ricerca del ghostwriter di Shakespeare: Marianna Iannaccone, che collabora nel mio libro con una «Intervista impossibile a John Florio», con altri ricercatori sta analizzando le opere di Florio in Shakespeare tramite l’intelligenza artificiale.
Il risultato è a dir poco incredibile: i due autori dimostrano di creare parole uniche, rare, che troviamo soltanto nelle loro opere, parole bizzarre e inusuali, segno di una identità linguistica stravagante e innovativa unica solo a Florio e Shakespeare. Solo loro sono stati gli autori che hanno creato le stesse parole, gli stessi composti, persino gli stessi errori grammaticali: Senza Florio Shakespeare non esiste, sarà questa la vera pistola fumante!

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