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Jobbik, allarme son nazisti

Jobbik, allarme son nazistiBudapest meeting di Jobbik – Reuters

Ungheria ntervista a Júlia Vásárhelyi, giornalista e curatrice del saggio «La piovra ungherese. Lo stato-mafia postcomunista»: «Jobbik è il partito d’estrema destra più grande di tutta Europa, apertamente xenofobo, antirom e antisemita»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 23 aprile 2014

Racconta Júlia Vásárhelyi, giornalista, figlia di Miklós Vásárhelyi, capo ufficio stampa del governo di Imre Nagy nell’autunno del 1956, che quattordici anni fa Viktor Orbán, all’epoca capo del governo per la prima volta, lesse al Parlamento una lista contenente i nomi di traditori della patria. Tra essi c’erano anche il suo e quelli del padre e della sorella sociologa. La Vásárhelyi specifica di essere stata inserita nella «lista nera» per aver parlato con un corrispondente del New York Times e per aver collaborato a un articolo sull’antisemitismo apparso su Limes. La giornalista è attiva nella critica al governo del Fidesz-Kdnp, questo suo impegno ha prodotto un libro di cui è curatrice insieme a Bálint Magyar, politico dell’opposizione di centro-sinistra. Il titolo è Magyar polip – A posztkommunista maffiaállam (La piovra ungherese: Lo stato-mafia postcomunista). Esso contiene degli scritti che denunciano il sistema costruito dal premier ungherese Orbán. La pubblicazione di un secondo volume è prevista per l’autunno.

Come valuta il risultato ottenuto da Jobbik alle elezioni del 6 aprile scorso?

È molto preoccupante. Nel 2010 Jobbik ha ottenuto quasi il 17% dei voti, ora invece è andato oltre il 20%. Il fenomeno è allarmante perché Jobbik non è semplicemente un partito radicale o di estrema destra, ma è veramente un partito nazista, non c’è dubbio. Un partito col quale neanche il Front National di Marine Le Pen vuole allearsi. In occasione delle elezioni ha cercato di rendere il suo stile un po’ più presentabile ma non è cambiato. È una forza politica apertamente razzista, antirom e antisemita. Si tratta del partito di estrema destra più grande d’Europa e in questo clima di antieuropeismo è molto pericoloso che ci siano organizzazioni di questo genere. Jobbik vuole l’uscita dell’Ungheria dall’Unione europea, vuole un referendum su questo punto. Qualche anno addietro uno dei suoi deputati ha bruciato la bandiera dell’Ue che una settimana fa è stata gettata fuori dal parlamento da un altro deputato. Questi sono atti molto pericolosi.

Quali sono a suo avviso le cause del successo di questo partito?

Naturalmente il malcontento, l’apatia, la paura diffusi nella società ungherese. Devo dire che per certi versi tra Jobbik e il Fidesz, non c’è una grande differenza. Il Fidesz dice quasi le stesse cose con uno stile molto più presentabile. Jobbik promette di dar lavoro, una volta che dovesse andare al potere, agli abitanti delle regioni più povere del paese e di ripristinare l’ordine pubblico turbato soprattutto dai Rom che non vogliono lavorare. La sicurezza pubblica verrebbe garantita dalle loro «milizie» ma questo ovviamente non è legale. Sappiamo che spesso la presenza di problemi economici e sociali fa sorgere la tentazione di cercare capri espiatori. Uno di questi è l’Unione europea. Jobbik dice che bisogna uscire dall’Ue e c’è della gente che pensa che una volta compiuto questo passo tutto tornerà a posto perché la «povera Ungheria» che è sempre vittima delle grandi potenze si libererà di questo nuovo impero che cerca di occuparla e soggiogarla. È con questa demagogia che il partito riesce a convincere diversa gente. Alle ultime elezioni politiche un milione di persone ha votato per Jobbik, in questo paese ci sono sentimenti ostili molto forti contro i partiti e i politici che stanno al potere perché, secondo una semplificazione condivisa da molti, sono tutti corrotti. I sostenitori di Jobbik, i suoi membri e dirigenti, dicono che questo partito non è corrotto proprio perché non è mai stato al potere, ma le cose non stanno così. Secondo me Jobbik riceve soldi dall’Iran, da Mosca, da certi paesi arabi.

Secondo lei Jobbik è in qualche modo espressione di problemi storicamente non elaborati dal paese?

Uno dei principali aspetti storici che vanno menzionati in questo senso è la perdita dei due terzi del territorio ungherese col trattato del Trianon. Consideri che si continua a parlare di questo argomento dopo quasi cento anni. Ma che importanza ha quando quasi tutti i paesi che allora ricevettero parti del territorio ungherese sono nell’Ue? La Romania e la Slovacchia sono nell’Ue. Che importanza hanno le frontiere? Ormai più nessuna. Ma sul Trianon si fa pura demagogia e si dice: «Noi eravamo una grande potenza, un grande paese, finché ci hanno tolto due terzi del nostro territorio». Purtroppo in Ungheria si coltivano diversi falsi storici e invece di guardare avanti si resta sempre nel passato e si cerca il capro espiatorio perché noi ungheresi siamo delle vittime. È assurdo!

Non le sembra che Orbán si sia più volte avvicinato all’estrema destra per convenienza politica per poi allontanarsene al momento opportuno?

Sì, è così. Le proposte di Jobbik a fronte dei problemi che esistono realmente nella società ungherese non sono accettabili. Orbán approfitta di queste situazioni, fa proprie certe istanze e cerca di dare ad esse delle risposte condivisibili. Il Fidesz, per esempio, non dice che bisognerebbe fare dei campi per i Rom ma afferma che solo chi lavora onestamente è degno di stima e di considerazione. Il Fidesz si serve veramente di Jobbik, però questo è un gioco molto pericoloso perché a volte non si sa quale sia il confine tra le due ideologie, tra questi due partiti. Anche il monumento che dovrebbe ricordare l’Olocausto si basa, in realtà, su presupposti teorici degni di Jobbik. Ma è Orbán che vuole realizzarlo per conquistare la fiducia e i voti di quanti pensano davvero che sia stata la Germania di Hitler ad aver occupato il paese nel 1944 e che gli ungheresi non abbiano colpe a fronte della deportazione e dello sterminio degli ebrei che, invece, sono stati organizzati dalle milizie ungheresi.

Di recente Jobbik ha inaugurato un busto raffigurante Horthy e il governo è stato accusato di non aver reagito in modo deciso all’iniziativa.

È vero. Il culto di Horthy è cominciato con la svolta politica del 1989 e dura da vent’anni. In tutto il paese gli sono stati dedicati diversi busti, perché l’Ungheria ha sempre bisogno di un padre della nazione. C’è stato Francesco Giuseppe, poi Horthy, poi Kádár, adesso c’è Orbán. Qui si avverte sempre la necessità di qualcuno che si occupi della nazione, che risolva tutti i problemi, che sappia la verità e che ingaggi una lotta di liberazione dalle grandi potenze. Questi personaggi finiscono col diventare eroi nella storia dell’Ungheria. Anche Kádár lo è divenuto malgrado abbia mandato a morte diversi protagonisti della sollevazione del 1956. L’ha fatto ma poi è diventato il padre della nazione e ora c’è nostalgia di lui. Anche Orbán sta diventando un eroe che ci difende e che porta avanti questa lotta per la libertà. Ma tutto ciò è ridicolo nel XXI secolo. Purtroppo, però, questa è la realtà.

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