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Jean-Louis Trintignant, la voce

Jean-Louis Trintignant, la voceScena da «La plus précieuse des marchandises» di Michel Hazanavicius

Cannes «La plus précieuse des marchandises» di Michel Hazanavicius ci lascia una traccia (da ascoltare) del grandissimo attore francese, morto due anni fa

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 1 giugno 2024

«Sento il mio cuore che batte, è la mamma che mi chiama, vado a fare la nanna con lei». All’inizio del suo ultimo spettacolo Jean-Louis Trintignant affidava al pubblico versi come questi (di Jules Laforgue). La tenerezza e l’ironia erano la nota dominante di quelle serate. Lui non faceva nulla per non farci leggere dentro un addio e noi continuavamo ad applaudirlo sorridendo ai suoi scherzi.
Così ritrovarlo in cartellone al Festival di Cannes, a due anni dalla sua scomparsa, nel film La plus précieuse des marchandises che ha per protagonista una bimba, ci è sembrato l’ultimo gesto di generosità di un attore che ci aveva abituato a questo: vederlo rinascere.

La più preziosa delle merci di questo Festival di Cannes forse è stata proprio la voce di Trintignant, narratore nel film d’animazione firmato da Michel Hazanavicius. Un racconto che ha per protagonista una bambina di pochi mesi che il padre, per disperazione e per amore, lancia dal treno che lo conduce ad Auschwitz e che sarà raccolta da una povera boscaiola che la crescerà con amore, nonostante l’orrore che la circonda. Una storia semplicissima che in un certo senso si è scritta da sola, perché Jean-Claude Grumberg (autore del libro da cui è tratto il film) aveva promesso a se stesso che non l’avrebbe mai scritta una storia così. Una storia sulla Shoah. L’unico modo possibile per raccontarla era travestire quella storia terribilmente vera (sia il padre che il nonno di Grumberg su quel treno per Auschwitz ci salirono davvero) da fiaba. Per tradurla in film c’era bisogno di far affiorare i personaggi da un tratto di matita sottile, dai colori tenui, che Hazanavicius personalmente ha disegnato, e di una voce che quella storia la raccontasse.«È il primo gesto che ho fatto cominciando la produzione del film» – ha detto Hazanavicius – «Registrare Trintignant».

Cannes,1966. In una scena di Un uomo, una donna, film dell’outsider Lelouch che vincerà la Palma d’oro, Anouk Aimée chiede a Jean-Louis che fa il pilota di automobili cosa gli piace di più del suo lavoro e lui risponde: «le bruit du moteur». Lo dice sicuro, lo dice da pilota, ma forse un po’ anche da attore perché quel «rumore del motore» fa proprio pensare alla voce di Trintignant.

«Il rumore del motore» forse è la voce, espressione di tutto ciò che di più profondo muove una persona, il riflesso del battito del cuore. Il suono conta. Molti anni dopo gli chiesi cosa gli piaceva della sua vita in campagna che amava tanto e la risposta fu «il rumore del vento tra le foglie degli alberi». È bello sentire la sua voce dentro i film. Per esempio in Film rosso di Kieslowski, il ruvido giudice in pensione e la dolce Irène Jacob. Nella sua voce c’è sempre un’incrinatura, un’accelerazione inattesa. Una fessura da cui filtra ironia, autoironia, un dubbio o persino una luce, mai accecante, che riscalda. Più tardi negli anni, ha più volte confessato che avrebbe voluto essere musicista perché il musicista esprime cose profonde senza il bisogno di parole.

E poi una volta aggiunse: «Il dolore non è una parola ma un suono». La sua voce bisognerebbe sentirla anche in quest’ultimo film quando uscirà. «Era commovente ascoltarlo dire il testo in quel momento della sua vita. Era ormai cieco» diceva Hazanavicius a Cannes. «Non lo conoscevo e ho adorato ogni momento trascorso insieme. Mi dispiace non averlo incontrato prima». E poi ricordava la sua «modestia patologica» e la ricchezza della sua voce «la più bella de cinema francese di ogni tempo».

«È un copione?» Mi chiese una volta Trintignant. Avevo in mano un pacco con dentro un libro, un regalo per lui. Non era un copione, ma per un attimo sembrava che lui ci avesse sperato. Aveva ottant’anni, diceva che il cinema non lo avrebbe fatto più, ma se una persona qualunque arrivava con un libro sottobraccio lui pensava che era un copione per lui ed era capace di accendersi di curiosità.

Non c’era da stupirsi se ogni volta, dopo aver dichiarato il suo addio al cinema, rispuntava in film inattesi, come il debutto di Jacques Audiard Regarde les hommes tomber o il film di Chereau Ceux qui m’aiment prendront le train o ancora, più recentemente, Haneke con Amour. Chissà il suo stupore quando gli è arrivato tra le mani il copione del film di Hazanavicius, sarà stato molto simile a quello della boscaiola del film, quando si trova tra le braccia quella bimba che ha desiderato per tutta la vita. Trintignant preferiva il teatro al cinema, perché c’era il pubblico ad applaudirlo e gli piaceva quello scambio reciproco, quel contatto reale. E in teatro amava dire poesie perché in una commedia prima o poi qualcosa di noioso c’è, nelle poesie no. Qualche volta se arrivavi in anticipo a vederlo, se recitava all’aperto e lo spazio non era ancora transennato capitava di sentire la sua voce. Lo sentii una volta dire un brano di Jules Renard. Un piccola storia di una bambina che gettava nel fuoco la sua bambola dopo essere guarita dalla scarlattina. La seconda volta – qualche anno dopo – diceva la parte finale di una celebre poesia di Prévert, Encore une fois sur le fleuve.

C’era una ragazzina vittima di un incesto. In entrambi i brani c’erano più o meno le stesse parole étonnement e stupeur. Era la sua capacità di entrare nel mistero dell’animo umano, di raccontare l’irraccontabile di farlo con tanta dolcezza. Così lui entrava nei personaggi: nel soldato che aveva messo il piede sulla mina e sapeva di essere spacciato (Fourmis di Boris Vian) o nel ragazzo che scriveva al Presidente «S’il faut donner son sang/ Allez donner le votre/ Vous êtes bon apôtre/Monsieur le President» (Le déserteur scritta da Boris Vian per la guerra d’Indocina nel 1954) Ma in un attimo lo scenario cambiava e spuntavano tipi buffi e surreali come i 4 sans cou: «Erano quattro che non avevano più la testa, quattro a cui avevano tagliato il collo si facevano chiamare i 4 sans cou», che innescava giochi di parole e assonanze, perché 400 coups (come ci insegna anche Truffaut) vuol dire «farne di tutti i colori». Scanzonati e anarchici, sovvertivano ogni regola e «quando parlavano, parlavano d’amore».

Una poesia scritta da Robert Desnos un paio di anni prima di essere arrestato e deportato nel febbraio del’44 e morire nel campo di Terezin poche settimane dopo la liberazione. Così Trintignant raccontava quelle storie che opponevano la meraviglia all’orrore, come fa anche il film di Hazanavicius con i suoi disegni delicati «che aprono la porta all’indicibile e celebra le scelte degli uomini giusti».

«Voglio raccontare storie nel modo più semplice e più sincero possibile» diceva Trintignant. Una cosa da niente che ci impieghi tutta la vita – se va bene – a imparare. Un lungo viaggio per arrivare a quel candore che illumina la malinconia, e che non è ingenuità ma il prodigio di rigenerare la vita con le parole.

Trintignant ci manca, ma restano le parole con cui la storia di Grumberg si conclude: l’unica cosa che conta, nelle storie come nella vita vera, è l’amore donato a tutti i bambini, ai propri e a quelli degli altri, che fa sì che la vita continui. Quelle parole che – ha detto Hazanavicius – Trintignant avrebbe voluto aggiungere ai testi che diceva nei suoi spettacoli, prima di lasciarci nel silenzio.

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