Parzialmente autobiografico anche il nuovo lavoro di James Gray – presentato in concorso a Cannes – che dopo la parentesi ‘fantastica’ di Ad Astra, si concentra in Armageddon Time su un lavoro di formazione, una storia familiare ambientata nella New York anni ottanta con Jeremy Strong, Anne Hathaway e Anthony Hopkins. «Ho sentito la necessità di concentrarmi solo ora su un soggetto di questo tipo – spiega il regista – forse perché non ho più vent’anni. E quando invecchi inizi a guardare indietro. Così mi capitava di raccontare ai miei figli storie di quando ero bambino e loro, affascinati, mi hanno chiesto di portarmi proprio in quei luoghi. Ho pensato che fosse una buona idea di partenza per un film, ma in realtà ho iniziato a lavorarci seriamente tempo dopo, mentre stavo curando a Parigi la regia di un’opera, Le nozze di Figaro, che mi lasciava tempo libero. Ore che ho riempito dedicandomi alla sceneggiatura di Armageddon».

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NONOSTANTE l’ambientazione negli ottanta della grande mela, impossibile non pensare a Truffaut e ai suoi I 400 colpi: «Quando parli di infanzia non puoi non pensare a Truffaut. Un film che ho fatto vedere ai miei figli durante il primo lockdown e che loro l’hanno adorato».

Il film non è solo questo, vuole anche essere uno sguardo sull’America durante gli anni dell’ascesa reaganiana. Un momento in cui le cose per molti americani sembravano davvero cambiare, e forse le radici di alcune delle divisioni laceranti, politiche e sociali, che vediamo oggi: «Quando Reagan è stato eletto, mia madre ripeteva costantemente ‘ci sarà una guerra nucelare’.  Certo è che in quegli anni è l’inizio di una fase di forte espansione di un certo tipo di mercato e capitalismo che ha generato l’aumento della disuguaglianza sociale. E questa è davvero una questione mondiale. Un punto di svolta nella storia che, penso, è per certi versi piuttosto sottovalutato, almeno finora. E ha avuto anche ripercussioni sul cinema determinando a Hollywood, la fine di un certo tipo di film che amo davvero e che mi appassionano molto e che sento in dovere di provare a continuare a fare».

Armageddon time in qualche modo volge lo sguardo anche sul presente. «Penso che oggi siamo realmente nei guai seri. Come siamo arrivati fin qui? Come siamo arrivati fin qui dove poche persone possiedono tutto e cercano di conquistare il pianeta. Non sto santificando il comunismo in stile sovietico, e io lì ci sono andato nel 1984 quando era chiaro che tutto stava precipitando​​, ma almeno avevi un altro sistema. Oggi a dominare è il mercato. Il mercato è Dio. Anche nel cinema dove a ispirarci dovrebbe essere la creatività, la fantasia. E invece, quello che insegniamo ai giovani è: “Oh, è un buon franchise. Entra in quel franchise”. Pensavamo ai franchise come McDonald e Burger King. Adesso ne parliamo quando discutiamo di cinema. Cosa è successo? È accaduto qualcosa. Perché non ne parliamo più? Dov’è la critica al capitalismo che ha portato a un sistema di orrenda disuguaglianza? Quindi, quando mi si chiede dove siamo oggi, dico che siamo nei guai. E spetta a noi artisti mostrare cosa c’è che non va».

IL FILM si sofferma anche sulle discriminazioni, e Gray punta il dito soprattutto contro i privilegi dei bianchi: «Per me, è impossibile guardare al mondo così come è governato oggi. E voglio precisare di aver scritto la sceneggiatura prima del caso George Floyd, che ha scosso le coscienze di tutto il mondo. E questo è il sistema in cui ci troviamo. Come lo rompi? Come interrompi il ciclo? E’ così che diventiamo ricchi?».