l vittimismo della presidente Meloni è proverbiale: mai però tanto fuori luogo quanto in materia di Pnrr. Solo con Draghi la Commissione europea era stata tanto accondiscendente. Il commissario all’Economia Gentiloni, affrontando il tema più spinoso del momento, è flautato. Sulla terza rata ancora in sospeso: «Non sono preoccupato. I punti ancora da chiarire saranno chiariti e vedo grandissima buona volontà da parte del governo». Sull’obbligo di rivedere il Piano, perché così com’è non arriverà mai in porto: «Quando arriveranno le proposte di emendamento italiane la Commissione è pronta a esaminarle con il massimo di collaborazione e flessibilità».

Certo, nella Ue non manca chi vorrebbe adoperare toni e soprattutto comportamenti più rigidi, ma al momento la maggioranza della Commissione è su questa linea e Meloni non ha nulla di cui lamentarsi. Allo stesso tempo la commissaria Ue all’Energia apre alle richieste italiane sull’uso dei biocarburanti dopo il 2035. Non che si tratti di disinteressata generosità: il fallimento dell’Italia sarebbe disastroso per l’intera Unione.

Non è solo Bruxelles, del resto, ad aver optato per la massima apertura. Mattarella è deciso a evitare tensioni e frizioni con l’esecutivo fino all’estremo e lo ha dimostrato anche nel pranzo con la premier di due giorni fa. Il presidente ha insistito sull’opportunità di evitare accuse rivolte al governo Draghi, forse anche sulla necessità di non dichiarare persa in partenza la partita come è sembrato fare il ministro Fitto, ma per il resto si è limitato a consigli sul modo migliore per sbloccare la situazione con Bruxelles. La premier sembra aver accolto l’invito solo in parte, dal momento che subito dopo ha rivendicato «il lavoro certosino e capillare del governo» per «rimodulare un Pnrr che non abbiamo scritto noi». Ma tant’è, anche perché stando alle indiscrezioni lo stesso SuperMario non sembra prendersela troppo e anzi sarebbe fiducioso nella capacità della premier, che è sempre stata nelle sue grazie, di trovare una soluzione con la Ue.

In parte la «soluzione» sarà affidata al decreto che il governo varerà la prossima settimana con l’obiettivo di abbattere quello che secondo il ministro dell’Economia Giorgetti è l’ostacolo principale: «Se proprio vogliamo trovare una causa delle difficoltà, è lo stress a cui abbiamo sottoposto la struttura burocratica della Pubblica amministrazione, che non era e non è all’altezza di sostenerlo». Per portare la Pa «all’altezza» il decreto permetterà a tutte le amministrazioni, coinvolte o meno che siano nella gestione del Piano, di assumere pensionati specializzati per due anni e di congelare il pensionamento di segretari generali e funzionari apicali se «in possesso di specifiche professionalità». Insomma un esercito di riserva che dovrebbe risolvere la situazione nel ganglio vitale della Pa.

Le misure necessarie per sbloccare la terza rata saranno invece inserite con appositi emendamenti, quattro dei quali già depositati in commissione, al dl Pnrr che procede al Senato con passo di tartaruga, soprattutto per gli emendamenti della stessa maggioranza e in particolare di FdI. Tra le correzioni già presentate figura la semplificazione degli impianti per le rinnovabili, ed è un passo in direzione dei 5S e della proposta di Conte di un «patto repubblicano» tra maggioranza e opposizione sul Piano, in nome dell’interesse nazionale. La prossima tornata di emendamenti dovrebbe sciogliere i dubbi della Ue sulle opere portuali, accogliendo le indicazioni della Commissione con la limitazione della durata delle concessioni e con modifiche nella dinamica di affidamento dei servizi. I nodi centrali dello Stadio di Firenze e del Bosco Sport di Venezia, che l’Europa non ritiene possano essere finalizzati come da mandato alla riqualificazione urbana e come darle torto, potrebbero essere sciolti per via amministrativa. Ieri a ruggire più di tutti contro lo stadio è stato Renzi: «Pagarlo con i fondi Ue è una follia».

Il decreto, che secondo l’agenda avrebbe dovuto essere approvato prima di Pasqua, rischia forte di slittare a dopo la festività. L’approdo alla Camera è comunque fissato per il 17 aprile e per la fine di aprile i problemi posti dalla Commissione dovranno esser stati risolti per sbloccare la tranche. Ma la vera difficoltà è un’altra. L’Italia avrà poi atri 30 giorni per presentare un «piano di salvataggio» basato su una mappa stavolta definitiva di quali opere possono essere portate a termine nei tempi previsti, entro il giugno 2026, e di quali invece chiede una proroga di tre anni, spostandole nella Coesione che può arrivare al 2029. La vera base per la trattativa è quella.