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Italia, in trent’anni abbiamo perso il 20% delle riserve

Italia, in trent’anni abbiamo perso il 20% delle riserve

Uno studio Ispra esamina gli anni dal 1991 al 2020 Evaporazione dagli specchi d’acqua e siccità sono tra le cause principali

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 marzo 2023

Negli ultimi trent’anni la disponibilità idrica in Italia è diminuita del 20%. Secondo le stime presentate da Ispra, frutto dell’impiego di Bigbang, il modello idrologico realizzato dall’Istituto che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2021, fornendo un quadro quantitativo e qualitativo delle acque in Italia, la situazione non è affatto rosea: nel periodo tra il 1991–2020 il valore ammonta a circa 133 km3, mentre il valore di riferimento storico, quello registrato tra il 1921 e il 1950, è pari a circa 166 km3. Anche le stime sul lungo periodo (1951–2021) evidenziano una riduzione significativa, circa il 16% in meno rispetto al valore annuo medio storico. «Questa riduzione, dovuta agli impatti dei cambiamenti climatici, è da attribuire non solo alla diminuzione delle precipitazioni, ma anche all’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua e dalla traspirazione dalla vegetazione, per effetto dell’aumento delle temperature» spiega un comunicato Ispra.

I numeri del bilancio idrologico nascono a partire da una stima delle componenti del bilancio idrologico a scala mensile sulla base di un’equazione che tiene conto delle variabili precipitazione totale, evapotraspirazione reale, ruscellamento superficiale, ricarica degli acquiferi e immagazzinamento di volumi idrici nel suolo e nella copertura nivale.
Le proiezioni climatiche future evidenziano, sia su scala globale che locale, possibili impatti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, dal breve al lungo termine.

Tra gli elementi che incidono sulla disponibilità idrica vi è senz’altro la siccità: anche se i dati del 2022 sono ancora in fase di analisi, e quelli del 2023 sono in fase di registrazione, si presume che il protrarsi un deficit di precipitazione, liquida e solida, e la persistenza di elevate temperature, andrà a ridurre ulteriormente la disponibilità di risorsa e le riserve idriche per i diversi usi (civile, agricolo, industriale) e per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che essi erogano, evidenziando ancor più la necessità di affrontare le problematiche connesse alle pressioni antropiche.

«Le analisi sul bilancio idrico nazionale, condotte dall’Istituto in collaborazione con l’Istat, hanno evidenziato il ruolo significativo dei prelievi di acqua dai corpi idrici che, anche in anni non siccitosi e con larga disponibilità di acqua superiore alla norma, possono determinare condizioni di stress idrico. Ciò – sottolinea Ispra – è avvenuto per l’Italia, ad esempio, nell’estate del 2019».

Ieri è intervenuto sul tema anche il Forum italiano dei movimenti per l’acqua: «L’inverno è appena finito e l’Italia già sta facendo i conti con la siccità, soprattutto al Nord, dove il disgelo dovrebbe riempire fiumi sempre più in secca e inquinati. Di fronte ad un fenomeno così grave, evidentemente frutto dei cambiamenti climatici e dell’eccessiva pressione antropica sulle riserve idriche, il Governo riesce a non dire una parola su questi temi, ma ripropone ricette a base di commissari, grandi opere da costruire “in emergenza” – bypassando le valutazioni di impatto ambientale – e privatizzazioni. Se togliere l’acqua dal mercato è il primo passo per tutelarla, il secondo è intervenire sui sistemi in cui questa vede il maggior utilizzo: il settore agricolo, colpito duramente dalla siccità, ha ampi margini di miglioramento se saprà uscire da un sistema basato su monocolture e zootecnia intensive per adottare tecniche agroecologiche che preservino la ricchezza dei terreni, compresa la loro capacità di trattenere l’acqua».

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