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Israele, un apartheid chiamato «democrazia»

Soldati israeliani foto ApSoldati israeliani – Ap

Israele/Palestina Giusto manifestare contro la svolta autoritaria di Netanyahu. Ma milioni di esseri umani sono senza i più elementari diritti civili e politici. Il nodo resta la pace con i palestinesi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 luglio 2023

Un attacco palestinese a Tel Aviv poche ore dopo che le forze militari israeliane avevano lasciato il campo profughi di Jenin, e diverse azioni palestinesi nei territori palestinesi occupati hanno intaccato la convinzione circa il successo dell’operazione militare israeliana.

Quest’ultimo capitolo si è aperto quando una cellula palestinese ha ucciso quattro coloni israeliani nelle vicinanze della colonia Eli, nei territori occupati. La parte più reattiva dei coloni ha allora scatenato una brutale repressione contro i palestinesi residenti nei villaggi vicini.

NEI DIFFUSI POGROM anti-palestinesi sono state incendiate case, derrate agricole, attrezzature, automobili. Diversi palestinesi sono stati aggrediti. Di fronte a questi atti, i soldati israeliani hanno manifestato una pericolosa neutralità – di pogrom si tratta e non può non tornare alla memoria quello che accadeva al popolo ebraico negli anni Trenta in Europa.

Ma le voci contro i pogrom sono state numerose.

Ha colpito una dichiarazione congiunta di condanna da parte del comandante dell’esercito, del capo della polizia e del capo dei servizi segreti. Prese di posizione che non hanno spiegato però perché le forze israeliane sono tipicamente apatiche quando si tratta di attacchi contro palestinesi. La ministra dell’ultradestra Orit Strook ha criticato duramente le dichiarazioni dei responsabili militari paragonandoli al gruppo russo Wagner, per poi fare dietrofront davanti alle critiche.

Dopo gli attacchi palestinesi degli ultimi giorni, si sono fatte sentire nuovamente le voci dell’ultradestra, secondo la quale azioni come quelle a Jenin sono necessarie, anzi dovrebbero essere più decise. Il motivo che non viene esplicitato dai critici della destra è molto chiaro: le operazioni militari nel nord dei territori occupati sono l’inizio di un processo che dovrebbe portare a un allargamento degli insediamenti israeliani nei territori occupati e alla ricostituzione delle colonie sgomberate con la decisione del 2005.

Questa volta l’estrema destra, cuore della coalizione che Benjamin Netanyahu cerca faticosamente di guidare, non esige una dichiarazione ufficiale di annessione-liberazione dei territori occupati. Siccome occupa diverse posizioni chiave, si permette di decidere la costruzione di oltre quattromila nuove unità abitative nei territori occupati e introduce nuovi presupposti illegali per la colonizzazione israeliana nei territori palestinesi occupati, mentre vengono destinati miliardi al consolidamento della colonizzazione israeliana e a favore di vari enti controllati da religiosi estremisti.

QUESTO SENZA GRANDI reazioni in Israele – così come all’estero -, mentre la cosiddetta «rivoluzione legale» rimane la questione principale nell’arena politica.

Ma è opportuno analizzare come essa sia collegata con la questione della pace, dell’annessione e della guerra. In questi ultimi giorni, le nomine nella polizia hanno scatenato una nuova tempesta e si può prevedere che l’opposizione alla politica del governo proseguirà nei prossimi giorni.

Quella del ministro della polizia è forse la più estrema fra le nomine fatte da Netanyahu per rassicurare la coalizione di destra. Ma è anche un segno chiaro e urgente dei sentimenti che dominano le giovani generazioni in questi giorni.

Itamar Ben Gvir, avvocato di Hebron, nel 1995 da giovane manifestante mostrò in tv un oggetto estratto dall’automobile del premier Rabin dichiarando, poco prima che quest’ultimo fosse assassinato da un estremista di destra: «Siamo arrivati alla sua vettura, potremo arrivare a lui».

BEN GVIR ERA ORGOGLIOSO della grande foto di Baruch Goldstein – assassino di 29 palestinesi a Hebron; campeggiava nel suo salotto. L’ha rimossa negli ultimi anni per non pregiudicare la propria candidatura alla Knesset, ma continua a essere identificato con il gruppo di seguaci del rabbino Kahane.

L’ideologia di base di Kahane presenta assonanze con le leggi varate dai nazisti in Germania negli anni Trenta. Ben Gvir si è sempre schierato con i gruppi più estremisti nei territori occupati e ha subito diversi processi. Ora cerca di «epurare» la polizia. Poiché l’attuale capo non è sempre stato docile e obbediente, il suo incarico non sarà prorogato fino alla fine dell’anno. Ma ha concordato di operare con il ministro sostituzioni di ufficiali non abbastanza obbedienti. Il più importante era l’ufficiale che comandava la zona centrale e che, quando è stato rimosso, giorni fa, ha dichiarato di essere stato cacciato per motivi politici sottolineando di essersi opposto alla violenza contro i manifestanti.

Il suo sostituto saprà come reprimere meglio le persone che nelle ultime settimane hanno intensificato le proteste contro la svolta autoritaria di Netanyahu. Poche ore dopo la diffusione della dichiarazione di Ami Eshed, l’ufficiale rimosso, Tel Aviv ha visto migliaia di manifestanti bloccare il traffico per ore.

GIOVEDÌ SERA SONO riprese le manifestazioni contro il progetto del governo, con una diminuzione della tensione interna rispetto a quella esplosa due settimane fa, quando i gruppi che manifestavano contro l’occupazione sono stati attaccati da alcuni «patrioti», i quali temono che l’ampia opposizione al progetto del governo Netanyahu venga contaminata dalla «sinistra».

È ben chiaro che Israele dal 1967 non è una democrazia. Milioni di esseri umani mancano dei più elementari diritti civili e politici e vivono in un regime di apartheid. È giusto manifestare contro l’autoritarismo di Netanyahu, ma è necessario ricordare che il problema non è solo la «rivoluzione legale» del governo.

Senza la pace israelo-palestinese e nel perpetuarsi della situazione attuale, la «democrazia» è solo propaganda.

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