In attesa delle ulteriori decisioni che prenderà il gabinetto di guerra – ieri si è riunito per la terza volta in tre giorni – il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha ribadito le intenzioni dello Stato ebraico. «L’Iran non la passerà liscia per l’attacco di sabato scorso», ha detto ieri Hagari, aggiungendo «Non possiamo restare fermi. Risponderemo al tempo e al posto giusto e nel modo che sceglieremo». I media non fanno altro che riferire indiscrezioni e dichiarazioni uguali da tre giorni su come sarà l’attacco di Israele: dentro o fuori l’Iran? In modo da non provocare una escalation regionale? Il servizio segreto Mossad colpirà leader militari e politici della Repubblica islamica? E in questo valzer di interrogativi non possono mancare i soliti «anonimi funzionari statunitensi» pronti a rivelare che la risposta israeliana sarà di portata limitata e contro armamenti militari iraniani e degli alleati al di fuori dell’Iran. Da parte sua Teheran fa sapere di essere pronta ad usare un’arma mai impiegata prima, così ha detto ieri un portavoce di una commissione del Parlamento, senza fornire particolari.

Tra dichiarazioni e minacce, spiccano le parole del ministro della Difesa Yaov Gallant: «l’Iran non creerà una nuova deterrenza a spese di Israele…I cieli del Medio oriente sono aperti agli aerei della nostra aeronautica militare: qualsiasi nemico che combatterà contro di noi sarà sconfitto». All’apparenza sembrano voler riaffermare la dottrina israeliana secondo la quale la risposta è all’Iran è necessaria perché «la deterrenza si costruisce con l’attacco e non con la difesa». Ma Gallant dicendo che «i cieli del Medio oriente sono aperti agli aerei della nostra aeronautica militare» con ogni probabilità si è riferito anche alle possibilità offerte dalla coalizione militare regionale araba e occidentale anti-Iran che sarebbe nata sabato notte quando aerei e difese antimissile di Israele, Usa, Regno unito, Francia e Giordania hanno agito insieme per abbattere i circa 350 droni e missili lanciati da Teheran. Della coalizione, secondo i media israeliani, farebbe parte anche il Qatar, contro il quale il premier Netanyahu e il suo governo lanciano invettive da sei mesi per la sua vicinanza al movimento islamico Hamas e che invece è un alleato stretto dell’Occidente e degli Usa, mantiene contatti con Israele pur non avendo relazioni diplomatiche e da sei mesi porta avanti trattative per liberazione degli ostaggi a Gaza. Del Fronte anti-Iran, con una posizione di basso profilo, farebbero parte anche l’Arabia saudita e gli Emirati Arabi (protagonisti nel 2020 della normalizzazione con Israele).

Secondo Zman Yisrael, versione in lingua ebraica del più noto Times of Israel, sabato notte la gigantesca war room nella base aerea americana di Al Udeid, vicino a Doha, è stata essenziale per ricostruire il quadro dell’attacco iraniano poi fornito a Israele in tutti i suoi dettagli. Per la prima volta, sottolinea Zman Yisrael, in quella sala di controllo gigantesca in Qatar, paesi arabi e occidentali hanno cooperato contro l’Iran, pertanto, è nata l’alleanza alla quale Israele e Stati uniti hanno lavorato per anni. Per il gabinetto di guerra guidato da Netanyahu questo risultato politico e militare, se sarà confermato in futuro, ha un peso largamente superiore alla solidarietà espressa dalla ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock che, poco prima di partire ieri per Tel Aviv, ha sottolineato che «gli alleati di Israele sono saldamente al suo fianco».

L’Iran in poche parole si sarebbe dato la zappa sui piedi. Invece di sfruttare l’isolamento internazionale che Israele stava soffrendo a causa dei massacri di palestinesi e della situazione umanitaria a Gaza, con il suo attacco avrebbe contribuito a cementare l’alleanza tra arabi, Israele e Occidente. I giochi però non sono ancora fatti. Il ministro degli esteri giordano Ayman Safadi è stato esplicito ieri quando ha affermato che il regno hashemita «non accetterà di diventare un terreno di guerra» e non permetterà a nessuno di usare il suo spazio aereo. L’Iran, ha aggiunto, «deve fermare l’escalation e il premier israeliano Netanyahu deve mettere fine alla guerra a Gaza». Tutti però sanno che piloti Usa, francesi, britannici e giordani hanno abbattuto decine di droni iraniani e missili in buona parte nello spazio aereo giordano e in quello saudita. Riyadh non ha fatto alzare in volo i suoi caccia per non entrare in rotta di collisione con l’Iran ma allo stesso tempo ha aperto il suo spazio aereo alla «coalizione» e contribuito con notizie di intelligence ad aiutare Israele nella battaglia contro droni e missili iraniani. Torna l’idea di una prossima normalizzazione dei rapporti tra l’Arabia saudita e Israele nonostante l’offensiva che ha ucciso a Gaza oltre 33mila palestinesi.

In queste ore si guarda anche al confine tra Libano e Israele, sempre più incandescente. Due droni inviati da Hezbollah hanno ferito tre israeliani nei pressi di una base militare in Alta Galilea. Israele, che ha tenuto ieri esercitazioni vicino al confine, ha risposto uccidendo due comandanti del movimento sciita. Hezbollah, alleato dell’Iran e di Hamas, non vuole una guerra aperta con Israele, ma assicura di avere «tutti i mezzi necessari» per difendere il Libano. I suoi missili a media e lunga gittata possono colpire tutte le città di Israele.