Armita Gravand, 16 anni, è caduta in coma dopo una probabile aggressione da parte degli agenti responsabili dell’applicazione dell’hijab obbligatorio, il tradizionale copricapo islamico. Dopo 28 giorni di ricovero nell’ospedale Fajr di Teheran, sotto stretta sorveglianza dei servizi di sicurezza, Armita è deceduta. La sua morte è stata confermata a seguito della constatazione della morte cerebrale e i tentativi medici non riusciti a salvarla.

La polizia ha negato le accuse degli attivisti, sostenendo che la ragazza ha perso conoscenza a causa di una diminuzione della pressione sanguigna e ha battuto la testa. L’agenzia di stampa ufficiale iraniana (Irna) ha reso pubbliche le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso sostenendo la versione ufficiale.

IL QUOTIDIANO The Guardian di Londra, citando “due testimoni oculari”, ha invece confermato che Armita è stata aggredita da una guardia dell’hijab all’interno del vagone della metropolitana, subendo colpi alla testa. Il Guardian sostiene che le immagini video pubblicate da Irna sono state tagliate di almeno un centinaio di secondi rispetto alla loro durata reale.

La richiesta di un’indagine accurata delle circostanze della morte di Armita da parte di un team medico indipendente è stata rifiutata dalle agenzie di sicurezza del paese. Sono stati fermati anche i giornalisti indipendenti che cercavano di indagare sul caso.

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La morte di Armita avviene dopo che la Repubblica islamica ha rafforzato la presenza della polizia morale nelle città. I sostenitori della linea dura stanno spingendo per l’implementazione di sanzioni ancora più severe per la violazione delle leggi sull’uso dell’hijab. Nel settembre di quest’anno, il parlamento iraniano ha approvato una legge che prevede severe sanzioni per le donne che infrangono le regole.

L’evento ha suscitato molta indignazione tra gli iraniani, che ricordano la tragica morte di Mahsa Amini, avvenuta mentre era in custodia della polizia – scatenando proteste in tutto il paese – un anno fa.

L’APPLICAZIONE più rigorosa del codice di abbigliamento si inserisce in un contesto di tensioni sociali e politiche più ampie nel paese, con molti cittadini che spingono per maggiori libertà personali e cambiamenti nelle leggi e nelle politiche. Tuttavia, l’establishment continua a seguire una politica severa di penalizzazione nei confronti di coloro che disobbediscono alla linea ufficiale.

«Armita è stata l’ennesima vittima dell’oppressiva imposizione dell’hijab nel nostro paese. Ogni giorno migliaia di donne subiscono soprusi e discriminazioni in modi diversi. Queste storie sono numerose. Casi come quello di Armita o delle dodici artiste donne escluse dall’industria dell’intrattenimento per non aver indossato l’hijab in pubblico sono soltanto alcuni esempi che sono diventati di dominio pubblico. Il governo cerca di diffondere una sensazione di insicurezza e paura per controllare le legittime richieste delle donne: una politica miope che non è sostenibile a lungo, considerando il crescente livello di consapevolezza delle donne iraniane» dice Farah, giurista e attivista per i diritti umani.

LA QUESTIONE di Armita e la sua tragica morte non solleva solo l’ingiusto obbligo dell’hijab e i diritti delle donne, ma mette anche in primo piano la profonda sfiducia della popolazione verso le istituzioni statali e i mezzi di comunicazione.

«Dopo un anno di duro contrasto politico, sociale ed economico tra il sistema governativo e la popolazione, le istituzioni hanno perso la loro credibilità …, i nostri giornali, la radio e la televisione sono effettivamente controllati dal governo. Di conseguenza ciò che dicono o scrivono, indipendentemente dal fatto che sia giusto o sbagliato, vero o falso, viene percepito come la voce e la ragione del governo, che fa di tutto solo per mantenere il suo potere. Non è un caso che i canali televisivi in lingua persiana all’estero siano diventati così popolari come fonte alternativa di informazioni», afferma il professor A. Amini, docente di sociologia.

LA SFIDUCIA popolare potrebbe diventare il tallone d’Achille per il regime nelle prossime elezioni politiche della primavera 2024, poiché, secondo i sondaggi, la maggioranza degli iraniani sembrerebbe intenzionata a disertare.