In occasione del 44esimo anniversario della Rivoluzione si è tenuta ieri a Teheran la marcia dei sostenitori della Repubblica islamica. Il rovesciamento della monarchia e la costituzione della Repubblica Islamica, nel 1979, per molti iraniani messi al margine o repressi per le loro idee politiche dalla monarchia era suonata come un campanello di speranza.

Ne abbiamo parlato con Rahimi S. (nome di fantasia), attivista politica agli arresti domiciliari dopo una lunga carcerazione subìta per aver tenuto riunioni politiche senza autorizzazione.

Cosa è rimasto della rivoluzione del 1979?

È rimasto un sistema autoritario, lontano dalla legittimità popolare. Uno stato teocratico che si nasconde dietro un’interpretazione assoluta, statica e fossilizzata dell’Islam, con un solo uomo al potere tenuto in piedi dal terrore esercitato da molteplici servizi di sicurezza che controllano interamente i mezzi comunicazione di massa, il sistema giudiziario, legislativo e l’intera economia del paese. Del vanto di questi 44 anni trascorsi rimane solo la sfida al potere americano e l’enorme avanzamento tecnologico nel settore degli armamenti.

È pur vero che gli Usa, malgrado tutti gli sforzi, legittimi o no, non sono riusciti a piegare l’ostinata avversità del regime. Ma le pesanti sanzioni imposte da Washington e dai suoi alleati hanno devastato l’economia, mentre il regime continua a impegnare immense risorse nello sviluppo dell’industria bellica. Il peso di questo braccio di ferro ricade sulla popolazione, specialmente sulle classi sociali meno agiate.

Eppure, ci sono state importanti manifestazioni a sostegno del regime.

Una parte del potere dominante, quelli che prendono decisioni, ha compreso che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto adeguarsi né esaudire ciò che la gente chiede disperatamente. Allora ha mutato la strategia del potere e ha optato nel rafforzare e favorire la sua base tradizionalista invece che inseguire il consenso della maggioranza. Favorire Raisi, ultra ortodosso, al vertice del governo è stata una mossa in direzione del cambiamento del paradigma dell’Islam Politico che governa il paese.

Su questo zoccolo duro del 10 – 15% della popolazione il potere ha deciso costruire la sua legittimità. Il potere lo favorisce, lo foraggia e ne difende i valori ultra ortodossi. Il potere deve fare del tutto per essere sicuro che questa parte scenderà in piazza, quando ce ne sarà bisogno, e imbraccerà i fucili se necessario. È un patto con il diavolo: io ti darò tutto a condizione che tu mi difenda a costo della tua vita, e non importa se muori perché ti porterò in paradiso.

Non sto parlando dei burocrati o dei nullafacenti che si sono arricchiti sulle spalle della gente o coloro che per necessità devono mostrare la loro fedeltà. Sto parlando di quella gente che davvero guarda al leader del paese come Amir al-Muʾminīn (Guida dei credenti, ndr). Non necessariamente ricchi e neanche necessariamente poco istruiti.
Alcuni personaggi di spicco, tra cui l’ex primo ministro Hossein Mousavi, agli arresti domiciliari da 12 anni, hanno chiesto un referendum nazionale. Che ne pensa?

Quello di Mousavi è stata una mossa importantissima. Lui è stato primo ministro durante la guerra tra Iran e Iraq; seppur isolato da anni, gode di una certa influenza tra i membri dell’esercito. Ora per la prima volta Mousavi traccia un processo per superare l’attuale costituzione e legittima il movimento “Donna, Vita, Libertà”. Le sue dichiarazioni hanno creato una discussione tra i militari e l’intellighenzia legata al regime. Ed è stato importante anche il sostegno ricevuto dai prigionieri politici, alcuni riformisti e Adul Hamid (Imam sunnita di Zhaedan, ndr). Infatti è partita una campagna di diffamazione contro di lui sui media di regime.

Il Georgetown Institute ha organizzato un dibattito con otto importanti figure della diaspora iraniana. Si parla di una prima pietra nella formazione di una leadership di opposizione.

La mancanza di leadership nel movimento è stata una debolezza che ha impedito il coordinamento delle proteste. La forte repressione dei dissidenti non ha dato nessuna possibilità per la formazione di una forza d’opposizione. Infatti gli oppositori sono stati uccisi, incarcerati o sono scappati all’estero. Molte figure importanti che possono essere portatrici delle nostre istanze sono in carcere e si trovano nella impossibilità di essere attive pienamente.
Gli iraniani si fidano poco delle organizzazioni della diaspora, le loro ideologie e aspirazioni sono diverse una dall’altra. È troppo presto per dare un giudizio sulla la nuova formazione, occorre aspettare per vedere il documento che è in preparazione in stretta connessione con i dissidenti e l’intellighenzia all’interno del paese, come hanno detto.

Non va dimenticato che la politica mondiale si muove attorno a interessi di parte e non dobbiamo cadere nelle lusinghe politiche di un paese o dell’altro. La vera forza del cambiamento giace nella voglia di libertà che brucia nel petto di ognuno di noi e che prima o poi illuminerà l’oscurità che regna attualmente nostro paese.

Anche gli iraniani della diaspora sono scesi in piazza nei vari paesi del mondo.

Avere l’empatia e la solidarietà dei connazionali e delle persone che credono alla libertà è energia vitale per noi. È importante sapere che noi, pur non potendo manifestare, continuiamo a dimostrare il nostro dissenso in ogni azione quotidiana. Le ragazze vanno in giro senza il velo, i negozianti tolgono le immagini dei fondatori del regime, i cantanti cantano canzoni di protesta, gli artisti disertano il festival Fajr (Festival cinematografico più importante nel paese, ndr), i campioni dello sport rimangono in silenzio dopo la vittoria. Se potessimo uscire nelle piazze senza rischiare il cappio, vedreste l’oceano di vitalità e creatività che oggi purtroppo trova spazio solo nelle cantine.