Il referendum indetto in Tunisia il 25 luglio per approvare o meno la nuova costituzione sarà in realtà un voto a favore o contro il presidente Kais Saied. La consultazione si svolge nell’anniversario dell’assunzione di tutti i poteri da parte del presidente, eletto nel 2019 con oltre il 70% dei voti.

Un plebiscito per un personaggio che si presentava senza partito e senza programma, ma che prometteva di mettere fine a una situazione politica insostenibile a causa della paralisi del parlamento, ostaggio di scontri tra partiti di tendenze contrapposte. Una crisi istituzionale causata anche da alcune ambiguità della costituzione del 2014 sulla divisione dei poteri tra presidente e parlamento.

KAIS SAIED HA APPROFITTATO del sostegno popolare per assumere tutti i poteri il 25 luglio 2021 e «legalizzare» questo golpe, un anno dopo, con una costituzione fatta su misura.

Mentre la costituzione del 2014 era stata faticosamente elaborata in tre anni, quella nuova è stata varata in tre mesi da una commissione che avrebbe dovuto coinvolgere esperti e organizzazioni, come il sindacato, che però si sono rifiutati di dare il loro sostegno a un progetto preordinato dal presidente.

Peraltro, il testo consegnato dal giurista Sadok Belaid, capo della Commissione nazionale consultativa per una nuova repubblica, il 22 giugno, non è quello pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (Jort) il 30 giugno.

A rinnegare il testo pubblicato dal presidente è stato lo stesso Belaid, in una lettera pubblicata dal giornale Assadah il 3 luglio, in cui afferma che «gli ampi poteri attribuiti al presidente… potrebbero aprire la strada a un regime dittatoriale». La carta costituzionale è stata ulteriormente corretta da Saied l’8 luglio, ma l’ultima versione non è stata diffusa.

Come detto, il dibattito sul referendum non verte tanto sul testo – sconosciuto alla maggior parte degli elettori – ma sul presidente. Tanto che i sostenitori del “Sì” usano tutti gli strumenti a disposizione, compresi i simboli nazionali formalmente vietati dalla legge elettorale, ma l’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie) non interviene essendo stata nominata dal presidente.

In forza dello stato di eccezione, in vigore da un anno, sono state impedite le proteste contrarie alla nuova costituzione, che hanno poco spazio anche nei media.

L’IMPORTANTE per Kais Saied è che vincano i “Sì”. Non è previsto un quorum e la trasparenza del voto non potrà essere verificata da osservatori locali o internazionali che non siano stati autorizzati.

Gli oppositori della nuova costituzione si dividono tra il boicottaggio e il “No”. I sondaggi ufficiali sono vietati da molte settimane ma quelli di opinione realizzati da organismi della società civile e dei partiti prevedono una bassa partecipazione (15-20%) e una vittoria del “Sì” al 70%.

Del resto, è chiaro che il presidente non avrebbe indetto un referendum se non avesse avuto in tasca la vittoria.

TRA I PUNTI PIÙ CONTROVERSI della nuova Carta vi è il sistema iperpresidenzialista, con la concentrazione dei poteri nelle mani del presidente, mentre i poteri legislativi e giudiziari vengono ridotti a mere funzioni.

Ma, soprattutto per le donne, a preoccupare è la riduzione della Tunisia a parte della Umma (comunità islamica) e la conseguente prevista realizzazione da parte del presidente delle finalità dell’islam, che potrebbe aprire la strada a una repubblica islamica con applicazione della sharia.

Kais Saied punta sull’elettorato deluso dai partiti islamisti, che formalmente boicottano il referendum. E approfitta della crisi in cui versa Ennahdha, il cui fondatore Rachid Ghannouchi è indagato per terrorismo.