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Intelligenze artificiali e occhi bendati

In una parola

In una parola La rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 luglio 2023

La discussione sui rischi e le opportunità che l’Intelligenza artificiale – meglio usare il plurale, visto che si tratta, se capisco, di programmi-prodotti-tecnologie (e individue) diverse? – dilaga. Dal vecchissimo e scaltrissimo Kissinger insieme a cervelloni del ramo, agli articoli, sulla Domenica del Sole24, di Nicola Lagioia e Roberto Casati.

Nel primo caso riemerge il classico modo di guardare alla storia e all’”evoluzione” della nostra specie esaltando le innovazioni tecniche: 2001 Odissea nello spazio di Kubrick e Clarke con il misterioso monolite che compare a ogni salto tecnologico. (Ma per la nostra “evoluzione”, mi chiedo, è stata più importante l’invenzione della polvere da sparo, o l’idea – non ancora del tutto condivisa – che la schiavitù non è una cosa giusta?).

Nel secondo si aggiorna il timore del cambiamento. Per una sorta di magia faustiana, l’uomo (lascio sospesa la questione se si tratta di umanità schiettamente maschile o meno) sta creando qualcosa più intelligente e potente di lui. Ma Lagioia e Casati dimostrano quanto questo ChatGpt – e suoi consimili – possano essere stupidi. E anche immorali e crudeli. Riecco Frankestein: l’estremismo scientifico produce mostri molto pericolosi.

Lo scienziato-filosofo (Casati) suggerisce di andarci piano con l’IA: gli studenti imparino a far da soli, magari a saper scrivere bene “a mano” e prepararsi a un orale senza appunti. Lo scrittore-umanista (Lagioia) giunge a una conclusione intrigante. Le intelligenze artificiali sono «specchio vertiginoso dell’esperienza umana…». Chiedono a noi stessi di «evolverci con rapidità. Forse troppa rapidità, ed è questo il problema». Dobbiamo “evolverci” in tempo, prima che il mostro «amplifichi troppo i nostri (non i suoi) lati oscuri».

Già, siamo noi il problema. Guardandoci negli occhi, attualmente, scorgiamo purtroppo scarse prove “evolutive”.

Ha fatto notizia che un direttore d’orchestra (figlio del medico famoso Umberto Veronesi) ha diretto una Bohème con una benda nera sugli occhi, perché non gradisce l’ambientazione nel Sessantotto dell’opera di Puccini ideata dal regista. Si sospetta che più che di dissensi artistici si tratti di ambizioni politiche: il direttore ha tentato più volte di essere eletto da qualche parte, spostandosi dal Pd ai centristi e infine a Fratelli d’Italia. Chissà che il clamore così suscitato (con fischi e insulti del pubblico) non lo aiuti una prossima volta.

Metafora di uno stato di confusione mentale – a dir poco – che sembra lambire, se non pervadere, menti dal cui pensiero dipendono le nostre vite.

Dobbiamo prepararci seriamente a una guerra totale non solo con la Russia, ma soprattutto con la Cina! (Panebianco sul Corriere di ieri). E però Biden sta scaricando un po’ Zelenski, perché non vuole davvero fare la guerra contro Putin (Caracciolo sulla Stampa). Anche se il premier ucraino assicura che le “bombe a grappolo” avute dagli Usa le butterà solo sul proprio paese, non certo su quello del nemico…

Se pensi che democrazia significhi avere a che fare anche con chi democratico non è, per convincerlo che il tuo sistema è migliore del suo, ma non a suon di bombe e carri armati, o altre diavolerie artificialmente intelligenti, sei evidentemente un filo-putiniano traditore della patria.

Infatti un altro scienziato, in odore di putinismo, Carlo Rovelli, citando (sulla Lettura del Corriere) uno scritto poco noto di Keplero – un viaggio fantastico sulla Luna, per capire meglio da lì che la Terra non è al centro dell’Universo – ci invita a cambiare ogni tanto il nostro punto di vista. Per capire meglio in che mondo ci troviamo e verso quale stiamo precipitandoci.

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