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Intelligenza artificiale, una nuova interprete di misteriose scritture

Intelligenza artificiale, una nuova interprete  di misteriose scrittureFoto Ikon images

Intervista Domani, la filologa classica Silvia Ferrara sarà ospite a Camogli per il Festival della Comunicazione

Pubblicato 24 giorni faEdizione del 14 settembre 2024

La filologa classica Silvia Ferrara all’università di Bologna utilizza l’intelligenza artificiale per interpretare i sistemi di scrittura antichi ancora misteriosi. La sua specialità è la filologia micenea e egea, ma i suoi studi hanno spaziato dai geroglifici Maya lingue precolombiane fino alle tavolette delle isole della Polinesia.
È anche un’abilissima divulgatrice, come dimostrano La grande invenzione (Feltrinelli, 2019) e Il salto (Feltrinelli, 2021), due saggi dedicati a questo affascinante ambito di ricerca e ampiamente tradotti all’estero. Ferrara sarà a Camogli domani, ospite del Festival della Comunicazione.

Professoressa Ferrara, come si usa l’intelligenza artificiale in linguistica?

L’uso dell’intelligenza artificiale non era preventivato quando abbiamo iniziato a studiare i sistemi di scrittura ciprominoici di 3.500 anni fa, di cui abbiamo appena 250 iscrizioni. Però, grazie a una scoperta imprevista siamo riusciti a risolvere un problema aperto da 120 anni. Prima di un nostro studio pubblicato sulla rivista Public Library of Science One, si pensava che nell’antica Cipro fossero in uso tre sistemi di scrittura diversi. Grazie a un algoritmo sviluppato per analizzare le differenze paleografiche nelle iscrizioni abbiamo capito che a Cipro il sistema di scrittura era uno solo. Ancora non sappiamo però se anche la lingua fosse unica, ma credo che prima o poi riusciremo a capire se si tratti di una lingua isolata o appartenente a un ceppo conosciuto.

Usate l’informatica per decifrare i linguaggi, un po’ come faceva Turing per decodificare le comunicazioni dei nazisti.

La macchina Enigma si limitava a nascondere un messaggio scritto con un sistema alfabetico attraverso un codice non trasparente in un sistema alfabetico. Una lingua e un sistema di scrittura sono molto più complessi. Lo abbiamo toccato con mano in un esperimento a cui hanno partecipato gli studenti della Sapienza di Roma. Un gruppo doveva creare un sistema logosillabico, in cui ogni segno rappresenta una sillaba, e un altro doveva decifrarlo. È stato molto interessante vedere come lavora il cervello quando deve codificare e decodificare un messaggio.

I pregiudizi presenti nei testi e nelle immagini generate dall’intelligenza artificiale raccontano qualcosa sulla società da cui provengono i documenti usati per addestrarla. Può diventare un strumento per studiare le società antiche?

Abbiamo lavorato anche in quella direzione. Ad esempio, nel mio team lavora una sinologa che ha individuato alcuni bias di genere nel cinese antico e qualcosa di simile è stato osservato anche nel sistema di scrittura proto cuneiforme. Il computer riesce a automatizzare la ricerca di informazioni che noi impiegheremmo molto tempo a trovare. Ma nel nostro lavoro è solo un «co-pilota»: può aiutare a validare un’ipotesi formulata utilizzando molte altre conoscenze e da solo il computer non basta. Negli ultimi anni molti ingegneri, matematici o informatici hanno provato senza successo a decifrare sistemi di scrittura antichi.

Molti studiosi raccomandano prudenza nell’applicazione delle tecnologie. C’è il rischio che il prestigio delle scienze «dure» porti a sottovalutare le conoscenze ottenute con un approccio basato sui saperi umanistici?

La ricerca interdisciplinare è indispensabile. Anche un granello di sabbia va osservato da tanti punti di vista. E non mi riferisco solo all’intelligenza artificiale. Le ricerche sulla paleogenetica sono rivoluzionari così come l’archeobotanica o la radiodatazione. Con il carbonio 14, ad esempio, abbiamo analizzato le tavolette dell’isola di Rapa Nui, dimostrando sulla rivista Nature che la scrittura Rongorongo è stata inventata prima dell’arrivo degli europei sull’isola. Senza le scienze dure le nostre discipline sono destinate a morire. Il mio obiettivo è portare studi iniziati cinquemila anni fa nel ventiduesimo secolo. E so riconoscere una guerra già persa.

Perché abbiamo inventato la scrittura?

Sui libri scolastici si legge che la scrittura nasce nei grandi imperi della Mesopotamia per la necessità di rendicontare risorse economiche, terreni agricoli, commerci. La mia posizione è diversa: non credo che nasca per scopi burocratici. Quando la scrittura viene inventata in Cina o in America Centrale non ha questa funzione. E ci sono imperi che sopravvivono senza, come racconto nel mio libro La grande invenzione. Attribuiamo agli imperi l’invenzione della scrittura perché è in quei contesti che sappiamo riconoscerla. Ma Homo sapiens ha sempre comunicato con icone e segni.

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