Nel giorno in cui Strasburgo critica la Commissione Ue per un certo lassismo nei confronti della Polonia, a Varsavia arriva invece il via libera finale del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, alla riforma della magistratura che dovrebbe soddisfare, almeno in parte, le richieste di Bruxelles.

«Il Parlamento europeo ci vuole offrire lezioni sullo stato di diritto, ma è esso stesso a ingerire nel nostro sistema legale e a disprezzare la Costituzione polacca», ha commentato l’ex prima ministra della destra populista di Diritto e giustizia (Pis), Beata Szydło, che ora siede tra i banchi di Strasburgo. Alla fine nulla è cambiato nel provvedimento approvato ieri che dovrebbe sbloccare la prima tranche dei fondi del piano nazionale di ripresa (PNR), dopo il passaggio del testo al Senat, la camera alta, dove il Pis e i suoi alleati non hanno la maggioranza. L’opposizione ci ha provato fino all’ultimo, ma invano: la richiesta di estromettere o mandare in prepensionamento gli 11 magistrati della camera disciplinare, messa in piedi più di tre anni fa dalla maggioranza per colpire giudici e avvocati scomodi, non ha trovato i voti necessari.

ADESSO MANCA soltanto la firma del presidente polacco, Andrzej Duda, eletto tra le file del Pis, per chiudere la partita. Un eventuale veto − dopo almeno un paio di “nie” clamorosi a diverse leggi proposte dai suoi colleghi di partito negli ultimi anni − risulta in pratica quasi impossibile in questo caso. Questo perché, l’attuale riforma della giustizia, che liquida di fatto la camera disciplinare contestata dall’Ue, era stata preparata in prima persona proprio dall’inquilino del palazzo del Belweder a febbraio scorso.

Con la nuova legge, a partire del mese prossimo, entrerà in funzione una nuova “camera per la responsabilità professionale”, composta sempre da 11 giudici, ma nominati direttamente da Duda, tra 33 nomi scelti con sorteggio. Il Consiglio nazionale della magistratura (Krs), in cui 15 membri su 25 vengono eletti direttamente dal Sejm, non avrà invece nessuna influenza sulle nomine nel nuovo organo voluto dal presidente polacco.

L’OK AI FONDI alla Polonia era arrivato mercoledì scorso a ridosso di una visita a Varsavia della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che sembra voler chiudere un occhio sulle altre due condizioni poste inizialmente da Bruxelles, e sulle quali il parlamento Ue ha dimostrato di non voler indietreggiare di un passo: reintegro di tutti i magistrati puniti dalla “camera della discordia” e rispetto di una sentenza della Corte di giustizia europea del 15 luglio 2021 secondo cui «il sistema disciplinare per i giudici in Polonia non è compatibile con il diritto dell’Ue».

Ma il Paese sulla Vistola non può sempre sperare che Bruxelles continui a darsi pizzichi sulla pancia nella contesa con Varsavia sul processo di ”orbanizacja” della magistratura che va ininterrottamente in scena dal 2015. Con una Corte suprema scelta direttamente da un sempre più politicizzato Krs, e un Tribunale costituzionale smaccatamente filogovernativo, i problemi di Varsavia con l’Ue su giustizia e stato di diritto non sono di certo destinati a finire qui.