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Intanto i migranti marciano. Una, due, tre carovane

Intanto i migranti marciano. Una, due, tre carovaneMigranti in marcia ieri a La Ventosa, stato di Oaxaca, Messico – Ap

Messico Prosegue la. via crucis verso la frontiera statunitense

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 2 novembre 2018

Dopo quasi 20 giorni di cammino, la «pericolosa» – Trump dixit – carovana di migranti centroamericani ha ripreso la sua via crucis. Nel municipio zapoteca di Juchitán, in Oaxaca, dove hanno ricevuto cibo e assistenza medica, i migranti avevano sperato di ottenere dalle autorità messicane un aiuto per arrivare alla capitale. Ma così non è stato.

L’organizzazione Pueblos sin Fronteras, che accompagna la carovana, ha accusato il governo federale messicano di aver bloccato l’iniziativa delle autorità di Oaxaca di mettere a disposizione 70 autobus per i circa 6000 migranti ancora in marcia, molti dei quali fortemente provati da infezioni intestinali e respiratorie e colpi di calore.

E così, per la carovana, non c’è altra scelta che proseguire a piedi verso Veracruz, dove è altissimo il rischio di violenze da parte della criminalità organizzata. Tanto più che non tutti i migranti procedono compatti – il modo più sicuro per evitare arresti o aggressioni -, considerando che sono molti a restare indietro o ad accettare passaggi sui camion. «Di qualunque aggressione contro i membri della carovana e i loro accompagnatori sarà totalmente responsabile il governo federale», denuncia l’organizzazione di volontari.

È intanto entrata in territorio messicano – dopo aver attraversato a nuoto o in imbarcazioni di fortuna il fiume Suchiate – anche la seconda carovana di circa 2000 migranti che la polizia del Messico e quella del Guatemala avevano provato a respingere al confine tra i due paesi (in un’operazione in cui era rimasto ucciso il 26enne Henry Adalid Díaz). E anche in questo caso i migranti hanno respinto l’invito del presidente messicano Enrique Peña Nieto, ansiosissimo di non incorrere nelle ire di Trump, a presentare richiesta di asilo in cambio di permessi temporanei di lavoro.

Ma l’esodo sembra inarrestabile: una terza carovana, partita domenica scorsa da San Salvador, dovrebbe raggiungere presto il confine messicano. E una quarta, formatasi nella provincia di Olancho, in Honduras, si trova ora in Guatemala. Per tutti loro, però, gli Stati uniti restano un miraggio.

Alla frontiera con gli Usa, stando all’ultima sparata di Trump, troveranno non gli 800 soldati previsti in un primo momento e neppure i 5200 annunciati poi – che erano già uno sproposito – ma, 10 o 15mila militari: quasi tre per ogni migrante. «Non entrerà nessuno», ha giurato il presidente degli Stati uniti.

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