La premier scozzese Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, ha annunciato nel pomeriggio di ieri che presenterà alla Corte suprema una proposta formale per tenere un secondo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito, pur contro la volontà del governo di Westminster. Se approvata, tale proposta porterà la Scozia al voto il 19 di ottobre 2023.

Le dichiarazioni arrivano a otto anni dal fallimento del primo referendum. Nel 2014, il fronte del ‘Sì’ all’indipendenza si era infatti fermato al 44,7% dei voti. La campagna indipendentista non si è però mai veramente fermata da allora. Anzi, il consenso allo Snp guidato dalla premier Sturgeon è aumentato negli ultimi anni nonostante l’uscita dal partito dell’ex premier Alex Salmond e la crescita di Verdi, anche loro per l’indipendenza. Nelle elezioni del maggio 2021 il partito di Sturgeon ha ottenuto il 47,7% dei voti, mentre l’intero fronte indipendentista ha superato la soglia del 50%. A un anno da quella vittoria, qualcosa si muove.

NEL SUO DISCORSO al parlamento, Sturgeon ha ribadito la necessità di portare la Scozia fuori dal Regno Unito, tanto più che le sue politiche sono ad oggi decise dal governo conservatore di Boris Johnson. Sturgeon ha accusato Westminster, fra le altre cose, di non aver affrontato adeguatamente la crisi pandemica e di aver trascinato a forza la Scozia fuori dall’Unione Europea. «Now is time for independence», ha scandito davanti al parlamento di Holyrood, auspicando che quest’ultimo abbia al più presto pieni poteri legislativi per costruire «una nazione più ricca, verde e giusta».

Le parole di Sturgeon hanno suscitato la reazione immediata dei partiti unionisti. Il leader dei conservatori, Douglas Ross, ha detto che quello del governo di Edimburgo è un piano che intende «usare risorse pubbliche per spaccare la nazione», mentre il laburista Anas Sarwar ha sottolineato che la Scozia ha priorità più importanti rispetto a quella di organizzare un referendum che due terzi della popolazione non vuole.

AL DI LÀ DEI PROPOSITI dei nazionalisti e delle preoccupazioni degli unionisti, tuttavia, è tutt’altro che scontato che la proposta di referendum sia approvata dalla Corte britannica. Sturgeon ha ribadito più volte che «il referendum deve essere legale» e che c’è quindi tutta la disponibilità di chi lo promuove a negoziarne i termini. In altre parole, ha escluso categoricamente uno scenario simile a quello della Catalogna. Sturgeon ha inoltre sottolineato che si tratterà di un referendum consultivo. Quindi, da un punto di vista formale, il suo risultato non è di per sé vincolante.

ALLO STESSO TEMPO, la premier ha messo in chiaro che il percorso verso l’indipendenza non si fermerà se la Corte suprema non dovesse dare l’approvazione. Se ciò accadesse, ha dichiarato, l’intenzione dell’Snp è quella di trasformare le prossime elezioni politiche in Scozia – che avranno luogo nel 2026 – in un referendum de facto sull’indipendenza. Che cosa ciò significherebbe di preciso non è stato però chiarito.

STURGEON HA INOLTRE ribadito quanto detto in una lettera al primo ministro britannico Boris Johnson. La leader dei nazionalisti scozzesi ha scritto che il governo di Londra ha abbondantemente dimostrato la propria riluttanza a rispettare la volontà d’indipendenza espressa con chiarezza nelle elezioni del 2021. Nel quadro di un’assoluta mancanza di collaborazione da parte di Londra, continua Sturgeon, si è reso necessario rivolgersi alla Corte suprema. Il non aver potuto raggiungere un accordo con Londra al riguardo è per la Scozia «fonte di profondo rammarico» ma comunque, scrive la premier, un «atto necessario». Resta però da vedere a chi la Corte darà ragione, e se effettivamente la Scozia tornerà al voto fra poco meno di un anno e mezzo.