Visioni

Indipendenti e hollywoodiani, la doppia identità di Cannes 77

Indipendenti e hollywoodiani, la doppia identità di Cannes 77«Grand Tour» di Miguel Gomes

Cannes Grandi nomi e esordi, «Parthenope» il nuovo film di Sorrentino è l’unico titolo italiano del concorso. Miguel Gomes, Schrader, Arnold, Cronenberg, 19 i titoli per la Palma. Nel Certain regard, Roberto Minervini con «The Damned». Fuori concorso, Claire Simon, Yolande Zauberman, Loznitsa. Leos Carax e Guiraudie

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 12 aprile 2024

Dietro al tavolo di una sala affollata siedono la presidente Iris Knobloch, e il delegato generale Thierry Frémaux, si annuncia a Parigi – e per il resto del mondo in streaming – la selezione del prossimo Festival di Cannes (14-25 maggio) l’appuntamento più atteso dal cinema mondiale. Knobloch sorridente, ringraziando collaboratrici e collaboratori, inizia dagli ottimi risultati della precedente edizione: gli Oscar, il trionfo mondiale della Palma d’oro Anatomia di una caduta, l’eco mediatico e l’attenzione di ogni settore.

Una scena da «Parthenope» di Paolo Sorrentino, foto di Gianni Fiorito

LA PRESENZA di una presidente si fa qui segno più visibile di un cambiamento rispetto alle richieste della società, in Francia in questo momento molto nette con una serie di denunce per violenze che hanno scosso il cinema d’oltralpe affermando richieste urgenti sulla questione di genere. Non si tratta semplicemente di «quote» ma aiuta a dare concretezza ai discorsi messi al centro oggi. Da noi sarebbe impensabile, la presidenza della Biennale è un affare maschile e peraltro nella sua selezione la Mostra di Venezia non sembra particolarmente attenta alla questione.
«L’anima del Festival di Cannes è espressa al meglio quest’anno dalla figura della presidente di giuria, Greta Gerwig, che unisce nel suo lavoro il cinema indipendente e Hollywood» dice Knobloch. E la selezione annunciata da Frémaux – che ha espresso il sostegno del Festival al cinema argentino colpito dai licenziamenti di Milei – è attraversata da questo intreccio di industria e di indipendenza che garantisce ancora la possibilità, per fare un esempio, di mettere in concorso l’esordio di finzione di Payal Kapadia, già autrice del molto bello A Night of Knowing Nothing – presentato alla Quinzaine. All We Imagine As Light, (anche primo film indiano in corsa per la Palma dopo trent’anni) intreccia le esistenze di due personaggi femminili fra relazioni, quotidiano, scelte, sogni. O Grand Tour, il molto atteso nuovo film di Miguel Gomes – coproduzione italiana con Vivo Film – una storia d’amore, di fughe, di pedinamenti e matrimoni mancati in un tour asiatico che inizia nel 1917 a Rangoon, in Birmania. Ma anche l’opera prima di un’autrice nazionale, Agathe Riedinger (Diamant Brute), in cui la protagonista è un’adolescente che nella partecipazione a un reality vede la chiave per cambiare vita.

Hollywood, e più in generale il cinema americano – di cui Frémaux ha sottolineato più volte la presenza perché è forse ancora un punto «fragile» per il festival – unisce la Palma d’onore a George Lucas e Furiosa di George Miller – Fuori concorso come Horizon, an American Saga di Kevin Costner. E poi in gara il già annunciato Megalopolis di Coppola, una science-fiction da 120 milioni di dollari (il regista ha venduto le sue vigne) con Adam Driver. Paul Schrader (Oh Canada, con Richard Gere), David Cronenberg (The Shrouds); il ritorno di Sean Baker con Anora, star Mikey Madison, descritto come «una commedia su una sex worker girata tra New York e Las Vegas» e The Substance di Coralie Fargeat, un body horror con Demi Moore. E, naturalmente Kinds of Kindness, del premio Oscar Lanthimos, di nuovo con Emma Stone.

«All We Image As Light» di Payal Kapadia

La Francia è presente oltre che col citato Diamant Brute, corre con Marcello mio di Christophe Honoré; al centro c’è Chiara Mastroianni che si confronta con la figura del padre Marcello, in un gioco di specchi – nel cast c’è anche Catherine Deneuve, sua madre – di rifrazioni e di fantasmi. E con Emilia Perez di Jacques Audiard, «un musical fra i cartelli messicani» con Selena Gomes. Invece sia C’est pas moi, di Leos Carax che Misericordie – due titoli molto quotati nei giorni passati – sono nella sezione «più sperimentale» Cannes Premiere.

Rispetto allo scorso anno con «l’apertura» del concorso al film di Wang Bing Jeunesse, i documentari di autrici e autori magnifici come Claire Simon (Apprendre), Sergei Loznitsa (L’invasion), Yolande Zauberman (La Belle de Gaza) sono stati invece di nuovo raggruppati nelle Séances Speciales.

L’Italia per ora sulla Croisette è presente con due titoli: in concorso – come già si diceva da tempo – torna Paolo Sorrentino con Parthenope, regista amatissimo da Frémaux che aveva dovuto rinunciare al precedente È stata la mano di Dio prodotto da Netflix – come si sa i film della piattaforma non sono previsti in competizione. Al Certain Regard c’è invece il nuovo Roberto Minervini, il suo The Damned, che a quanto dice la sinossi è ambientato nell’inverno 1862, nel pieno della guerra di Secessione. Fremaux lo ha presentato come «la storia di giovani soldati che devono combattere contro dei nemici invisibili».

SEMPRE IN COMPETIZIONE (diciannove i titoli ma altri saranno annunciati nei prossimi giorni), Caught the Tide, ritorno a Cannes di Jia Zhang-ke – e la presenza cinese registra una nuova spinta dopo la pandemia. Limonov di Kirill Serebrennikov, ispirato al romanzo best-seller di Emmanuel Carrère, pubblicato in Italia da Adelphi, con Ben Whishaw nei panni di Limonov e Viktoria Miroshnichenko in quelli di sua moglie Elena. Un viaggio tra la Russia, l’America, l’Europa nella seconda metà del XX secolo. Bird è firmato da Andrea Arnold – alla quale la Quinzaine consegnerà la Carrosse d’or – mentre Karin Ainouz presenta Motel Destino, ritratto di una giovinezza intossicata dall’oppressione di una élite, e della sua rivolta.

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