Lo sciopero generale iniziato il 2 ottobre in Guatemala prosegue senza sosta. Ieri la giornata di commemorazione della rivoluzione del 1944 ha visto varie manifestazioni sfilare per le vie della capitale, per ricordare la fine della dittatura di Ponce Vaides e mostrare nuovamente il ripudio, netto, contro il tentativo della Procura generale della Repubblica di impedire al presidente eletto Arévalo di insediarsi.

Qualche giorno prima lo stesso Bernardo Arévalo de León aveva convocato leader indigeni e sociali e alcuni rappresentanti del mondo imprenditoriale per cercare di superare la crisi politica che sta paralizzando il paese da tre settimane. Restano ancora attivi decine di blocchi stradali organizzati per lo più dal mondo indigeno e ancestrale in tutto il paese. Alida Vicente, autorità indigena di Palín, Escuintla, rispondendo alle polemiche alimentate dalle destre ha dichiarato: «Non stiamo promuovendo nessun atto di violenza, diciamo no ai golpisti. Non stiamo solo

manifestando, questa è una vera sollevazione indigena». Arévalo e la sua vice Karin Herrera hanno partecipato alle manifestazione di ieri prendendo anche parola dal palco montato davanti al Palazzo nazionale. Già nei giorni precedenti il presidente eletto si è speso pubblicamente per evitare che la protesta degenerasse in violenze, viste le molte provocazioni che l’apparato politico-informativo del paese sta alimentando.

LO SCIOPERO NAZIONALE ha un obiettivo ben chiaro: chi ha cercato di invalidare il risultato del ballottaggio del 20 agosto, la procuratrice generale María Consuelo Porras su tutti e tutte, deve dimettersi, se non sarà così, le forze indigene e ancestrali promettono di continuare la protesta.
I blocchi hanno limitato il transito di mezzi e merci anche nella notte prima del corteo e già dall’alba del 20 ottobre altre decine se ne sono formati. Il presidio permanente, nonostante le minacce di sgombero, che blocca l’ingresso del Ministero pubblico, prosegue e a supporto delle popolazioni originarie si sono schierati studenti e studentesse universitarie assieme a diversi sindacati e forze di lavoratori e lavoratrici.

LA TENSIONE NEL PAESE È ALTA e certamente la richiesta della Corte costituzionale di sgomberare il presidio non ha aiutato così come le bellicose dichiarazioni di commercianti e imprenditori. Sempre la Corte Costituzionale, il 19 ottobre, ha sentenziato che il presidente in carica Giammattei, non può rimuovere la procuratrice generale e ha autorizzato l’intervento della polizia nazionale eventualmente appoggiata dall’esercito per cacciare i manifestanti e rimuovere i blocchi.

Nelle stesse ore il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani Luis Almagro ha sottolineato che le indagini della Procura mancano di credibilità e dagli Stati Uniti si è alzata la voce contro chiari tentativi di «minare la democrazia» in Guatemala. Il presidio davanti al Ministero Pubblico è stato il punto di partenza delle manifestazioni per diverse delegazioni arrivate a Città del Guatemala da Chimaltenango, Comalapa, Patzún, mentre le autorità ancestrali di Chinautla, senza passare dal presidio, si sono dirette verso il palazzo presidenziale dicendo di voler «unire le forze per difendere i nostri diritti collettivi».

LA STRAORDINARIETÀ di questa mobilitazione è che la forza propulsiva delle piazze è indigena, ma con le realtà urbane e studentesche in appoggio. Un’anomalia di cui anche lo stesso Bernardo Arévalo de León dovrà tener conto durante il suo governo, se non vorrà tradire non solo chi l’ha votato ma anche e soprattutto chi è in strada a difendere il processo democratico.