ExtraTerrestre

India, più foreste e meno diritti

Globalizzazione Una legge del governo Modi sulla compensazione climatica consente di espropriare le terre agli indigeni per riforestare il paese

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 maggio 2018

Il 13 ottobre, 2017, il villaggio di Jhadutola, nello stato centrale del Jharkhand, uno degli stati indiani con maggiore copertura forestale, è stato invaso dalle forze dell’ordine che accusarono gli abitanti di occupare illegalmente il territorio. «Abbiamo vissuto in queste terre da secoli, che coltiviamo ogni giorno per il sostentamento della nostra comunità», commenta uno degli abitanti del villaggio. Mentre la situazione si fa sempre più critica, gli abitanti spiegano di essere stati falsamente accusati per favorire lo sgombero delle terre e consentire l’attuazione di nuovi progetti di riforestazione. Un evento di abuso simile si era verificato qualche mese prima, a luglio, nel villaggio di Pidikia (distretto di Kandhamal, nello stato dell’Odisha). In quel caso il dipartimento forestale ha proceduto con il sequestro di una zona di foresta, sino a quel momento gestita a livello comunitario, con l’obiettivo di impiantare nuovi alberi. Tutto ciò violando i diritti dei cittadini e negando loro i mezzi di sostentamento.

Ma come è possibile un simile scenario? Negli ultimi dieci anni l’India ha iniziato ad espandere le proprie politiche di riforestazione, assumendo un ruolo di leadership nella lotta per il cambiamento climatico. Il 2 ottobre 2016 ha ratificato l’accordo di Parigi sul clima, assumendo l’impegno di adottare nuove strategie di adattamento per i cambiamenti climatici e di ridurre le emissioni di gas serra (cui l’India contribuisce al 6 per cento a livello globale). Uno degli obiettivi è proprio quello di aumentare entro il 2030 la superficie forestale del paese fino a 50 mila chilometri quadrati e assicurare il recupero di zone forestali considerate degradate per la stessa estensione chilometrica. Un programma molto ambizioso se si considera che l’estensione di superficie forestale occupa oggi il 24,4 per cento dell’intero paese, ossia quasi 800 mila chilometri quadri. Cifra che porta il paese a essere uno dei dieci paesi al mondo con una copertura forestale di assoluto rilievo.

Per fare tutto ciò il governo di New Delhi ha previsto di investire la cifra di ben 6,2 miliardi di dollari, attraverso il Compensatory and Afforestation Bill (Caf), approvata dalla camera alta nel luglio 2016, ovvero la stessa legge che minaccia i cittadini di Jhadutola di abbandonare le loro terre. I fondi del Campa (Compensatory Afforestation Fund Management and Planning Authority) provengono dalle imposte pagate dai privati negli ultimi dodici anni, per impiantare le proprie aziende in zone forestali. In poche parole, il Campa è un meccanismo di compensazione per i servizi di pagamento dell’ecosistema in cui il proponente del progetto che devia le foreste paga per l’ecosistema e il valore della biodiversità della foresta persa. Il Campa è quindi una delle strategie di mitigazione per ridurre le emissioni senza rinunciare alla crescita considerata necessaria per il continuo sviluppo della nazione indiana. Quest’ultima, come il ministro dell’ambiente Prakash Javadekar afferma, «potrà assicurare la crescita economica senza rinunciare alla salvaguardia degli ecosistemi».

Ma si tratta di politiche climatiche o di negazione dei diritti? Il programma ambizioso dello stato indiano è stato criticato da molti attivisti, ricercatori e organizzazioni interessate alla difesa dei diritti umani, che considerano questo disegno di legge «anti-tribale» e «anti forestale». Le zone forestali indiane rappresentano infatti dimora per un numero di circa 40 milioni di persone, che secondo i dati della Fao si stima siano per la maggior parte appartenenti alle classi più emarginate, quali comunità indigene e tribali. Inoltre, come sostiene Manohar Chauhan di Campaign for Survival and Dignity, questi fondi, che dovrebbero essere utilizzati per la riforestazione di zone spesso depredate da vecchi progetti industriali, vengono invece adoperati per convertire terre utilizzate a livello comunitario in monoculture, come abbiamo osservato nel caso Jhadutola e di Kandhamal. Queste terre coltivate tradizionalmente (nistar) o usate per i pascoli e per la raccolta di prodotti forestali, rappresentano la sola fonte di sostentamento per circa 300 milioni di persone; si tratta quindi di aree ben lungi dall’essere terre degradate o abbandonate.

Ma ci si domanda quante possano essere le comunità vittime di questo meccanismo di compensazione che potrebbero trovarsi improvvisamente invase da grossi alberi da recupero. I casi menzionati sopra non sono un’eccezione. I primi dati vengono confermati da uno studio portato avanti dal Community Forest Rights – Learning and Advocacy (Cfr-La), che ha analizzato 2.548 piantagioni e approfondito 63 casi di riforestazione attuate tramite i fondi del «compensatory afforestation». Lo studio rivela che il 60 per cento di questi progetti si basa su monoculture, per lo più di alberi teak, che sono stati piantati in zone precedentemente utilizzate dalle comunità locali. Le stesse che avevano reclamato il loro diritto alla terra tramite la Forest Rights Act (Fra), una legge varata nel 2006 che riconosce a pieno titolo le terre forestali gestite in maniera comunitaria sotto l’autorità del gram sabha (il consiglio degli anziani del villaggio). Non è tutto: molti piani di riforestazione hanno invece investito zone precedentemente considerate di massima biodiversità, le quali sono state convertite in monoculture.

Ciò significa che questi fondi non solo stanno ledendo i diritti di milioni di individui, ma stanno anche distruggendo gli ecosistemi, là dove erano nati per uno scopo esattamente opposto, ovvero quello di preservare e proteggere l’ambiente. Tutto ciò per non arrestare quella macchina da sviluppo che continua a permettere alle aziende di inquinare, purché l’imposta di compensazione venga pagata.

Non si può fare a meno di notare che tutta questa attenzione alla protezione dell’ambiente nelle politiche climatiche – che ha portato il primo ministro Narendra Modi sulle copertine di molti giornali internazionali – pare invece nascondere un doppio fine, quello di perseguire la sola crescita economica a discapito (come sempre) delle frange più emarginate della popolazione e dell’ambiente stesso.

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