Europa

Indagato per sedizione il capo dei Mossos

Indagato per sedizione il capo dei MossosMossos d’Esquadra e Policía Nacional a Barcellona; sotto il capo della polizia catalana Josep Lluís Trapero – LaPresse

Spagna, scontro tra polizie Un problema annoso che nell'escalation del referendum è esploso in tutte le sue contraddizioni. Intanto Madrid invia anche l’esercito in Catalogna. «Forte il rischio di disordini nei prossimi giorni», «Non è vero, siamo pacifici»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 5 ottobre 2017

Nel braccio di ferro per l’indipendenza della Catalogna i colpi di scena si susseguano come in un film d’azione: l’ultimo ha come protagonista il capo dei Mossos, Josep Lluís Trapero, che, indagato per sedizione, dovrà comparire venerdì davanti al giudice per giustificare la passività della polizia catalana nei confronti dei manifestanti che lo scorso 20 settembre cercarono di impedire le perquisizioni e gli arresti di alcuni degli organizzatori del referendum da parte della Guardia Civil. Ma lo strano caso della polizia alla sbarra è solo la spia di un problema annoso e articolato, che riguarda le autonomie regionali e l’organizzazione delle forze dell’ordine in Spagna.

 

Trapero

LA POLIZIA CATALANA (i Mossos d’Esquadra) e quella basca (l’Ertzaintza) hanno una lunga tradizione, ma è dal 1986, con l’approvazione della Ley de Furzas y Cuerpos de Seguridad del Estado, che hanno ottenuto l’autonomia totale dallo stato centrale, passando sotto il controllo dei governi regionali. Si tratta di corpi con competenze totali – fatti salvi i limiti territoriali – quasi completamente sovrapponibili a quelle di Policía Nacional e Guardia civil. Ed è da qui, ovvero da questo accavallamento di competenze (e di costi) che nascono i problemi, tornati alla ribalta domenica, con la diffusione di video di scaramucce e insulti tra Mossos d’Esquadra e Policía Nacional. Immagini inquietanti, che documentano uno scontro nello scontro, un ennesimo strappo nel già lacero tessuto sociale spagnolo.

«La presenza di forze di polizia regionali è dispendiosa e inefficace e comporta problemi». Ne è convinto José María Benito, portavoce del sindacato Unión Federal de Policias. «Ciononostante, è la prima volta che si verificano scontri in un contesto operativo tra Mossos e forze centrali ed è una cosa che mi preoccupa molto. Finora le tensioni avevano riguardato solo questioni di coordinazione», assicurano sia Benito, che Josep Miquel Milagros, portavoce del sindacato dei Mossos Uspac. O, per meglio dire, di mancata coordinazione, come già era emerso in occasione degli attentati di Barcellona: «Non esistono protocolli di collaborazione, anche se è vero che finora la buona volontà degli agenti dei vari corpi ha supplito a questa carenza», convengono Benito e Milagros.

Sulle ragioni di questa scarsa collaborazione, però, le risposte cambiano a seconda che arrivino da Madrid o da Barcellona: «Il problema è che i Mossos vogliono essere l’unica polizia presente in Catalogna e tagliare fuori i corpi nazionali», spiega il portavoce del Ufp; «Macché: è Madrid che ci esclude e ci emargina tenendoci fuori da sistemi di informazione e di intelligence, a cui hanno accesso solo Policía Nacional e Guardia Civil». Fatto sta che qualcosa è andato storto anche domenica, e le immagini insanguinate che hanno fatto il giro del mondo sono conseguenza non solo dell’abuso della forza, ma anche del malfunzionamento del meccanismo di gestione dell’ordine. «I Mossos – afferma Benito – hanno disobbedito all’ordine del giudice che imponeva di presidiare i seggi fin dal primo mattino per impedire l’accesso ai votanti; se avessero compiuto gli ordini non ci sarebbe stato bisogno di sgomberare le scuole né, quindi, di ricorrere alla forza».

MA ERA PROPRIO NECESSARIO ricorrere al manganello su gente inerme? «Avevamo l’ordine del giudice di impedire la votazione con le buone o con le cattive». Barcellona, sull’altra linea, freme: «Non è vero: avevamo gli stessi ordini operativi, ma loro avevano delle consegne politiche chiare. E poi non abbiamo trasgredito nessun ordine: la consegna era sì di sgomberare i seggi, ma in modo pacifico e proporzionato. Le sembra proporzionato rompere il naso a un’anziana?».

INTANTO LA TENSIONE, già altissima, con Madrid che ieri ha inviato l’esercito in Catalogna per dare supporto logistico alle forze di polizia, è destinata ad aumentare: «Io ho parlato in questi giorni con alcuni dei poliziotti mandati in Catalogna – prosegue José María Benito – e mi riferiscono di un clima di ostilità che ricorda quello dei Paesi baschi ai tempi dell’Eta. Un contingente di nostri uomini è stato addirittura cacciato dall’hotel in cui alloggiava a Callella (un paese a nord di Barcellona, ndr), al grido di “assassini”». L’ambiente, insomma, è esplosivo, e l’annuncio dell’indipendenza unilaterale previsto per lunedì potrebbe fare da innesco: «Noi ci stiamo preparando a tutti gli scenari possibili. C’è, effettivamente, un forte rischio di disordini nei prossimi giorni e la polizia deve essere pronta a tutto». Da Barcellona, ovviamente, arriva un messaggio diametralmente opposto: «Non direi proprio, siamo una popolazione pacifica.

Negli ultimi anni in nessuna parte d’Europa si sono svolte tante manifestazioni quante qui in Catalogna, e di incidenti ne sono successi pochissimi. Mi spiace dirlo, me è la presenza di Guardia Civi e Policía Nacional, spesso, che li causa». Ma voi vi sentite appoggiati dalle istituzioni? Benito: «No. Il ministero degli interni ci ha lasciato soli nella bufera». Milagros: «Da quelle catalane? Certo, ovviamente. Ma soprattutto dalla popolazione che sta dalla nostra parte».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento