«Il fatto che Cina e Stati uniti possano andare d’accordo ha un impatto sul futuro e sul destino dell’umanità». Xi Jinping e Antony Blinken hanno convenuto su questo punto, anche se più che d’accordo l’impressione è che si possa ambire ad andare ordinatamente in disaccordo. Sul resto le distanze restano ampie, ma l’ambizione non era tanto di colmarle, quanto quella di far ripartire il dialogo.

«LA VISITA di Blinken ha dimostrato che entrambe le parti hanno bisogno di stabilizzare le relazioni ed evitare che vadano ancora peggio». Jean-Pierre Cabestan, senior researcher dell’Asia Centre di Parigi e celebre sinologo di base a Hong Kong, sintetizza a il Manifesto l’esito del viaggio del segretario di stato americano a Pechino: «Da parte americana vogliono maggiore stabilità sulla sicurezza, da parte cinese sull’economia. Il fatto che Xi abbia ricevuto Blinken dimostra che nel Partito comunista c’è qualche preoccupazione sulla tendenza dei rapporti, comunque destinati a rimanere non idilliaci», aggiunge Cabestan.

Blinken, ricevuto come da prassi per i non capi di stato senza tappeto rosso, ha incontrato le tre massime figure della diplomazia cinese. E già questo, al di là del contenuto dei colloqui, è un risultato non scontato dopo la vicenda del presunto pallone-spia. Xi ha sottolineato l’importanza dei rapporti tra i due «popoli», formula utilizzata anche nel colloquio dei giorni scorsi con Bill Gates. Il passaggio più critico è stato quello in cui ha sottolineato che «nessuna delle due parti può modellare l’altra secondo i propri desideri». A ribadire che il modello cinese non è e non sarà omologabile.

IL MINISTRO degli Esteri Qin Gang è stato il “poliziotto buono”: con lui si sono sviscerati tutti i temi in agenda durante un incontro fiume che si è protratto per otto ore tra colloquio vero e proprio e cena di lavoro. Nei comunicati che hanno chiuso la prima giornata di visita, è apparsa diverse volte la parola «cooperazione». E Qin ha accettato l’invito a visitare Washington, dove presumibilmente incontrerà anche Joe Biden.

Wang Yi, il capo della diplomazia del Partito comunista, ha assunto il ruolo di “poliziotto cattivo”. Prevedibile, visto che il ruolo gli chiede di incarnare le istanze più profonde di Pechino. Ma non ci sono stati litigi a favore di telecamera come nel 2021 in Alaska. Wang ha chiesto a Blinken di smettere di esaltare la «teoria della minaccia cinese» e ha addossato su Washington le responsabilità dei rapporti giunti «al minimo storico», chiedendo la rimozione delle «sanzioni unilaterali illegali» e di «interrompere la soppressione dello sviluppo tecnologico della Cina». Il dossier più teso resta, come sempre, Taiwan. Wang ha ribadito che sulla questione «non c’è alcun margine per compromessi o concessioni. Gli Usa devono aderire veramente al principio dell’Unica Cina».

DURANTE la sua conferenza stampa finale, Blinken ha detto esplicitamente che gli Usa si oppongono all’indipendenza di Taiwan (normale, anche se non era avvenuto con Joe Biden e Lloyd Austin al G7 di Hiroshima e allo Shangri-la Dialogue di Singapore), ma ha anche sottolineato la volontà di continuare a far sì che «Taipei sia in grado di difendersi» da azioni unilaterali, condannando le «azioni provocatorie» di Pechino sullo Stretto, sul mar Cinese meridionale e su quello orientale.

Preoccupa in tal senso la mancanza di comunicazione nel settore della difesa. Se Blinken ha assicurato che gli Usa non vogliono il disaccoppiamento economico ma “solo” la riduzione del rischio, la Cina ha rifiutato il riavvio dei meccanismi di lavoro e dialogo a livello militare, otturati dallo scorso agosto. «Questo è il punto più negativo della visita, perché era uno dei pochi risultati concreti che ci si aspettava», sottolinea Cabestan. Pechino vuole prima la rimozione delle sanzioni al ministro della Difesa Li Shangfu. Ma secondo Cabestan, l’intenzione sarebbe soprattutto quella di «far sentire che, qualora non si facciano concessioni alla Cina, i rischi di confronto e conflitto sono molto alti. Una strategia già usata varie volte, soprattutto tra mar Cinese orientale e meridionale. La grande domanda – conclude – è se Xi intende ridurre o alzare le pressioni sullo Stretto. Andando verso le elezioni presidenziali di Taiwan, ci sono buone ragioni per diminuirle e sperare così di favorire la vittoria di un partito dialogante».

IL PIÙ OTTIMISTA al termine della due giorni pare essere proprio Xi, che ha parlato di «progressi» registrati nell’incontro con Blinken, parlando anche di «accordi su alcune questioni specifiche». Il riferimento esplicito è quello alla promessa di intensificare gli scambi politici, economici e commerciali, con l’aumento dei voli diretti tra i due paesi. Quello implicito potrebbe riferirsi alla questione del pallone, che lo stesso Blinken ha dichiarato chiusa in un’intervista alla Nbc, nonostante i risultati delle indagini sul reperto non siano ancora state diffuse. Ma anche al probabile incontro tra i due presidenti a novembre, a margine del summit Apec di San Francisco. Palloni o altre crisi permettendo. Prima di allora si vedranno anche al G20 di Nuova Delhi, a settembre.