Finiti i compiti a casa, la Cina si proietta verso l’esterno. Incassato il terzo storico incarico presidenziale, Xi Jinping mette in agenda un incontro con Vladimir Putin e un colloquio con Volodymyr Zelensky. Tutto la prossima settimana, secondo fonti anonime citate da Reuters e Wall Street Journal. Il viaggio a Mosca era preventivato, ma lo si aspettava tra fine aprile e inizio maggio. Il dialogo col presidente dell’Ucraina molto meno, anche se quest’ultimo aveva espresso a più riprese il desiderio di parlare con il leader cinese.
L’accelerazione della manovra cinese fa sperare che si stia muovendo davvero qualcosa a livello diplomatico. Ma potrebbe essere anche collegata a quanto emerso dalle “due sessioni”, concluse ieri con l’ultima plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo. Xi è emerso dall’appuntamento con una squadra e una macchina decisionale più adatti ad affrontare le «sfide senza precedenti» che, nella sua visione, lo attendono durante il terzo mandato.

IL FEDELISSIMO Li Qiang è diventato premier, ponendo fine all’era della già erosa leadership collegiale degli ultimi decenni. La squadra di governo è stata confermata quasi in toto, con la novità rilevante di Li Shangfu ministro della Difesa. Generale dell’esercito e ingegnere aerospaziale, è sotto sanzioni degli Stati uniti dal 2018 per l’acquisto di armi dalla Russia. Vero che il dialogo bilaterale in materia di difesa non passa solo dal ministro, ma la sua nomina è la conferma che la Cina non accetta le sanzioni, definite retaggio di una mentalità «unilaterale ed egemonica» in un mondo multipolare. Ma segnala anche che non è disposta a compromessi e che il suo modello di governance è legittimo quanto quello degli Stati uniti, non in grado di influenzare la scelta degli esponenti del suo apparato partitico, governativo e statale.

LA FIEREZZA nel modello cinese è confermata dal discorso di chiusura di Xi: «Il popolo cinese è diventato padrone del proprio destino e il rinnovamento nazionale è entrato in un processo storico irreversibile». Questo sentimento, unito alla visione fatalista sui rapporti con gli Usa, fa sì che ci sia un impatto anche sulla postura cinese. All’interno, Xi chiede di erigere alle forze armate una «grande muraglia d’acciaio» per «salvaguardare la sovranità e la sicurezza nazionale», con un pensiero alla questione di Taiwan, su cui il presidente ha ribadito di volersi opporre «risolutamente alle interferenze esterne e alle attività indipendentiste». All’esterno, Xi propone un approccio più proattivo per il «perseguimento degli obiettivi». Da qui il ruolo di mediazione tra Arabia saudita e Iran, da qui l’accelerazione sul doppio colloquio con Putin e Zelensky.

PECHINO dà per la prima volta un segnale di coinvolgimento diretto nei tentativi di mediazione, visto che il dialogo virtuale tra Xi e il presidente ucraino sarebbe il primo dall’inizio del conflitto. Le rispettive visioni sulla possibile soluzione politica sono comunque diverse. Il documento programmatico cinese di qualche settimana fa non offre una roadmap precisa, né probabilmente sarà in grado di farlo Xi, che difficilmente potrà andare oltre le richieste più o meno vigorose di cessate il fuoco. Entrare nel dettaglio delle rivendicazioni territoriali ucraine e russe significherebbe avventurarsi in un rebus di difficile soluzione e in grado di scoperchiare potenziali ambiguità e contraddizioni cinesi in ottica Taiwan. In ogni caso, l’azione diplomatica è destinata a rafforzare la pretesa della Cina di essere percepita come una «potenza responsabile» e «garante di stabilità». Oltre che dai paesi in via di sviluppo, anche dall’Europa.

LECITO ASPETTARSI una reazione degli Usa, che nelle scorse settimane dopo il grand tour di Wang Yi avevano rilanciato le accuse sulla fornitura di armi a Mosca. Il campo di battaglia sarà pure l’Ucraina, ma la sfida più ampia è sempre quella tra Usa e Cina.