Tutta giocata su scardinamenti, cortocircuiti, colpi di scena linguistici, la lirica di Ewa Lipska – una della più note e acclamate poetesse polacche contemporanee, che si formò nell’ambito del movimento poetico di Nowa Fala (Nuova Ondata), e debuttò nel lontano 1967 – ci viene ora proposta nella sua stagione più matura, in un volume dove si trovano raccolte le sue ultime due raccolte poetiche, Memoria operativa e L’amore in procedura di emergenza (traduzione e cura di Marina Ciccarini, Le Lettere, pp. 190, €12,00) che, insieme a Il lettore di impronte digitali (Donzelli, 2017), costituiscono una trilogia poetica nata dalla necessità di una duplice testimonianza: del nostro tempo e dell’universo poetico dell’autrice.

Proprio come se denunciando e scardinando le spietate regole di un mondo sempre più sospeso tra tecnologia e brutalità, globalizzazione e solitudine, Lipska cercasse le occasioni di tracciare una meteorologia dei sentimenti, in particolare dell’amore, sempre coniugato con i temi fondamentali (la morte, lo scorrere del tempo, l’assenza).

Il punto di partenza è la referenzialità del linguaggio, i suoi meccanismi semantici e fraseologici, fatti deflagrare in una fitta rete di doppi sensi, paradossi e immagini surreali. Come nella lirica «La miniera», lapidario manifesto poetico di chi ha scelto la solitudine della poesia quale mestiere di tutta la vita: «Da anni ormai lavoro/ nella miniera dell’Immaginazione./ Scendo fino in fondo/ nel biossido delle metafore/ nella polvere di cenere e zolfo/ con putridi angeli della bellezza»).

L’esempio è sufficiente a dimostrare la testarda fiducia di Lipska nella metafora come portatrice di sensi poetici, per quanto la potenza figurativa ed evocativa delle sue liriche scaturisca anche da traslati e altre classiche figure retoriche come la similitudine («La nostalgia come un bicchiere rotto/ rotola sulla carreggiata») o l’ossimoro («Non vogliamo essere una catastrofe./ Scegliamo la tragedia della felicità»).

Sono liriche, queste, che non disdegnano le incursioni in territori del vocabolario di squisito dominio tecno-scientifico («Questo amore/ era la luce degli occhi/ delle reti neurali») alla ricerca di immagini nuove figlie del nostro mondo («Quando ci hanno tradito/ i circuiti integrati/ dei nostri corpi/ eravamo un brandello di cavi/ un fascio di nervi»), malato e arido di poesia («I nostri versi si dondolavano/ come un orfano autistico»).

La grande espressività icastica, il rapporto inversamente proporzionale tra intensità comunicativa ed economia linguistica possono ricordare le migliori prove di Szymborska, in particolare la bellissima Giovanni Keplero («drogato di cielo/ cade nel vizio/ dei pianeti in movimento») o la laconica Storia («Non ti farà del male/ finché/ non le toglierai/ la ciotola col cibo»). Ma è sintonizzandosi sulle dissonanze che riempiono la nostra quotidianità che ritroviamo la migliore Lipska, nelle sferzate con cui ci mette in guardia dai pericoli della contemporaneità, dall’alienazione, dove riecheggia un catastrofismo, appena mitigato dall’ironia («è in arrivo l’avaria del mondo/ speriamo che eviti il nostro villaggio»), al quale la poesia polacca ci ha già abituati. E quando distoglie lo sguardo da un mondo inguardabile, è la memoria a mettere a bilancio le assenze («È tornato/ ma tutto desertificato./ Sabbioso./ Si è sgretolato/ sulla porta d’ingresso»), così spietatamente anche quando ritorna sull’amore («Si sono allontanati da sé stessi/ senza un briciolo di memoria/ tenendosi per mano»).

«Sono sempre stata consapevole di utilizzare un linguaggio che appartiene a tutti, alle masse – scrive Lipska nella breve introduzione – e di doverne tirare fuori qualcosa di diverso, di mio, qualcosa che sorprenda non solo il lettore, ma l’autore stesso». Procedimento a un tempo estrattivo e creativo replicato con alchimistica esattezza da una delle sue più autorevoli studiose e traduttrici, Marina Ciccarini, che ha scoperto e portato la poetessa cracoviana nella nostra lingua quasi dieci anni fa (L’occhio incrinato del tempo, Armando Editore, Roma 2013).