Tra la nebbia che in questi giorni copre i campi deserti a ovest del fiume Dnipro gli unici che si azzardano a camminare sono gli sminatori del servizio d’emergenza nazionale ucraino. Osservarli è ipnotico: sono uomini in drop blu scura che si muovono per ore in un fazzoletto di terra con il metal detector e le cuffie. Quando sentono una distorsione nelle cuffie si fermano nello stesso punto per un tempo che sembra interminabile. Si provi a immaginare la responsabilità di dichiarare una zona «pulita» e poi venire a sapere che un contadino o una famiglia è esplosa nello stesso punto. Disegnano delle parabole con l’avambraccio su una zolla e non muovono un passo, mentre nell’altra mano tengono la pala. Se gli chiedi a cosa pensano mentre lavorano rispondono sempre «a niente».

IL 7 DICEMBRE quattro di questi uomini sono saltati in aria e ieri il presidente Zelensky li ha insigniti di onorificenze postume prima di spiegare che «il terrore delle mine» dovrà essere affrontato per molti anni. Nelle guerre di logoramento, come quella che si sta delineando in Ucraina, le mine mietono morti per decenni dopo la fine delle ostilità dato che gli eserciti quando si trincerano fanno di tutto per evitare che gli incursori nemici si avvicinino. Spesso sono interrate a difesa della ritirata, oppure semplicemente nascoste per seminare il terrore tra la popolazione nemica ed eliminare altri soldati in postazioni strategiche dove sono sistemate come trappole, come nell’ex-Jugoslavia dopo la guerra degli anni ‘90. Per questo sono forse il più infame degli armamenti. Stando alle prime stime, l’Ucraina oggi ha più di 170 mila kmq di territorio considerato «a rischio», ovvero più della metà della superficie italiana. Non è detto che siano tutti minati e non ci è dato sapere quale sia l’eventuale densità di posizionamento, ma secondo alcune dichiarazioni di alti ufficiali Onu e Nato, ci vorranno circa trent’anni per dichiarare i terreni pericolosi del tutto liberi.

NEL BRIEFING prima della partenza, un ufficiale ci intima di non fare nulla se non lo fanno anche gli sminatori. «E se dovessero bombardare non correte nei campi» dove dovremmo correre però non è chiaro, ma all’arrivo ci fanno segno di parcheggiare le auto con il cofano verso Kherson. Nel frattempo i bombardamenti russi sono iniziati. Più tardi si verrà a sapere che è stato colpito il mercato all’aperto, non distante dal centro di Kherson. Quando ci avviciniamo alla zona delimitata dai nastri bianchi e rossi, tuttavia, cala il silenzio. La pioggia si fa sottile e gli unici rumori sono quelli dei nostri passi. «Vi ho detto di non allontanarvi!» urla un militare a una giornalista ucraina che si sporge dal ciglio della strada per girare un video. Nel frattempo, gli sminatori del «Dcnc», che si distinguono per i loro camion speciali e la scorta degli artificieri su pesanti pick-up bianchi, osservano la terra indurita dal freddo e non alzano mai lo sguardo.

Siamo lungo la strada verso Melitopol e questa piccola squadra è impegnata a bonificare un campo nei pressi dei tralicci dell’alta tensione. «In alcuni punti la linea elettrica è danneggiata» spiega il caposquadra, «ma al momento non possiamo verificare perché è pericoloso, per questo stiamo cercando di stabilire un corridoio sicuro di almeno qualche chilometro». Il problema è che «qualche chilometro» potrebbe prendere giorni, se non settimane. I due uomini al lavoro sono qui da due giorni e hanno delimitato un’area di circa 50 metri per 20. Per il tempo che siamo rimasti ad osservarli quasi non si sono mossi di un centimetro. Poco prima del nostro arrivo avevano trovato una mina anticarro. «Sono ordigni che si attivano solo sotto un peso superiore ai 200 kg, se ci passa una persona sopra non scoppiano. Ma hanno una carica di più di 7 kg di tritolo e quando detonano distruggono tutto ciò che trovano nel raggio di qualche metro».

LE MINE ANTI-CARRO rappresentano la percentuale più bassa dei ritrovamenti, quelle più comuni sono le mine anti-uomo a bassa carica «quelle che, se sei fortunato, ti amputano una gamba e basta». Dall’inizio della controffensiva di Kiev nell’est dell’Ucraina si è iniziato a parlarne insistentemente. A Karkhiv diversi civili sono saltati in aria nei campi intorno al capoluogo regionale e anche nel Donetsk riconquistato in autunno sono stati segnalati diversi incidenti. Ma Kherson in questo contesto ha rappresentato la svolta negativa. Per almeno due settimane si sono rincorse le voci di un possibile ritardo nell’avanzata delle truppe ucraine in città a causa del timore di vaste zone minate. Si ipotizzava che addirittura gli edifici in città e le infrastrutture civili fossero minate. L’allarme, con l’ingresso dei militari in città è rientrato. Ma nei terreni agricoli limitrofi non è lo stesso, soprattutto nei pressi delle anse del fiume, dove gli ucraini potrebbero tentare un attraversamento del corso d’acqua verso est.

L’agente del Dcnc spiega che così come esiste la tattica del «doppio-colpo» per gli attacchi missilistici, ovvero bombardare nello stesso punto dopo l’arrivo dei soccorritori per mietere più vittime possibile, «le mine a volte sono sistemate a gruppi nello stesso punto, più in profondità di quelle antiuomo, così chi ci capita per caso viene ferito e poi gli sminatori che intervengono trovano le altre ad attenderli».

ALTRE VOLTE le mine sono posizionate sotto i sassi, nei saliscendi delle strade sterrate, sotto le carcasse dei mezzi distrutti durante le battaglie «così che nessuno si aspetti di trovarle lì e a morire sono i tecnici». Per formare uno sminatore esperto c’è bisogno di mesi e quindi ogni vittima di questo tipo pesa sul bollettino di guerra dell’esercito. È una sorta di equazione macabra, meno sminatori significano più civili morti. Ora, durante la guerra, e negli anni a venire.
Dopo quasi due giorni di lavoro, la squadra che abbiamo incontrato a nord di Kherson ha trovato un solo ordigno. E stamattina presto gli agenti hanno ricominciato, sotto la pioggia, in piedi in mezzo ai campi, un quarto di passo per volta.