Dal 2004 la Costituzione definisce l’accesso all’acqua un «diritto umano», ma dal 2020 l’Uruguay soffre la peggior siccità degli ultimi 100 anni. La persistente penuria di piogge e la mancanza di infrastrutture adeguate hanno creato una situazione così grave da costringere il governo a dichiarare l’emergenza idrica nell’area metropolitana di Montevideo, dove si concentra il 60% della popolazione totale del paese, circa due milioni di persone.

Gli invasi sono quasi a secco; quello di San Severino, il più grande del paese, contiene neanche 3 milioni di metri cubi di acqua sui 67 totali. Il presidente Luis Lacalle Pou, del Partito nazionale, cerca di rassicurare i cittadini affermando che l’afflusso di acqua alle abitazioni sarà garantito, ma dai rubinetti esce un liquido salato e a volte torbido, sgradevole da bere e inadatto agli usi domestici. Lo denunciano da settimane migliaia di persone che quotidianamente manifestano in diversi quartieri di Montevideo “suonando” bottiglie di plastica vuote per svegliare il governo di destra, accusato di aver sottovalutato il problema e di non aver adottato per tempo misure preventive.

DI FRONTE AL CROLLO della portata del Santa Lucía, il fiume più importante dell’Uruguay, le autorità hanno deciso di attingere acqua dal Río de la Plata che però è salata, visto che si mischia con quella marina in prossimità dell’estuario. Il risultato è la duplicazione dei livelli di sodio e ferro in quella distribuita nella rete urbana, per non parlare dei livelli di trialometani che possono provocare problemi di salute cronici.
Mentre Obras Sanitarias del Estado (OSE), l’azienda idrica pubblica, ha aumentato la quantità di cloruri addizionati all’acqua per impedire la proliferazione di agenti patogeni, le autorità sanitarie, su mandato di Lacalle Pou, hanno raddoppiato i limiti massimi di cloruro di sodio e di altre sostanze tollerati per legge nell’acqua potabile. Ovviamente la mossa ha rinfocolato le polemiche e ravvivato le proteste al grido di «non è siccità, è saccheggio».

Il governo ha provato a placare gli animi azzerando le imposte sull’acqua minerale, i cui prezzi sono comunque lievitati a causa della speculazione, e avviando la realizzazione di un bacino lungo il corso del fiume San José, oltre che un piano per la manutenzione e la riparazione delle condotte idriche che, si calcola, perdono il 50% dell’acqua distribuita. Per evitare l’accaparramento i supermercati limitano la quantità di acqua minerale che ogni cliente può acquistare e comunque una parte della popolazione non può permettersela e beve – indignata – mate salato. L’acqua satura di minerali – l’Oms raccomanda un massimo di 200 mg di sodio per litro, mentre quella che arriva a Montevideo supera i 440 – intasa ora termosifoni e caldaie.

«L’OSE ha ridotto i dipendenti e diminuito gli investimenti del 30%» denuncia il Frente Amplio, la coalizione di centrosinistra uscita sconfitta dal voto del 2019. L’esecutivo di destra ha deciso di abbandonare la realizzazione della diga di Casupá, decisa dal governo di centrosinistra, a favore di un progetto che privilegia i privati.

La moltiplicazione delle piantagioni di eucalipto e di soia e degli allevamenti intensivi di bovini, denunciano scienziati e ambientalisti, ha fatto il resto, prosciugando le falde.

E ora la crisi idrica sta mandando in tilt anche l’economia: il settore agricolo ha sofferto danni per 1,7 miliardi e a maggio le esportazioni sono crollate del 31% rispetto a un anno fa. Le previsioni meteo, per ora, non sono rassicuranti.