Gli interventi video del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj nelle assemblee parlamentari di diversi paesi occidentali costituiscono ormai un canale politico (e propagandistico) consolidato al quale nessuno se la sente di sottrarsi o di far mancare il proprio entusiastico plauso. Lo si può capire viste le tragiche circostanze in cui versa il Paese attaccato da Vladimir Putin.

Ma tra gli applausi e le ovazioni circola il malumore. Il più diretto è quello espresso dal ministro della comunicazione israeliano Yoaz Hendel per l’indigeribile paragone tra l’invasione russa dell’Ucraina e l’Olocausto, in cui si è avventurato Zelenskyj nel suo intervento alla Knesset, attribuendo a Mosca la ricerca hitleriana di una “soluzione finale” e fantasticando di una impeccabile solidarietà senza eccezioni tra ucraini ed ebrei durante la seconda guerra mondiale che ora vorrebbe restituita sotto forma di moderni armamenti da parte di Israele.

A GERUSALEMME PERÒ non dimenticano, che non andò proprio così. Il continuo ricorso a questo genere di paragoni e ad esempi tratti semplicisticamente dal conflitto che ha devastato l’Europa tra il 1939 e il 1945 persegue l’effetto retorico di reintrodurre tra le opzioni sul tavolo e nell’ordine del possibile l’orizzonte di una terza conflagrazione mondiale, spingendo per quel coinvolgimento Nato nel conflitto che inevitabilmente ne rappresenterebbe il primo passo. Atteggiamento, questo, in fin dei conti controproducente nei rapporti tra Kiev e le più prudenti capitali occidentali che la sostengono, Washington compresa.

Nel suo discorso al Bundestag Zelenskyj non si era minimamente trattenuto dal rinfacciare ai tedeschi egoismo economico e pavidità geopolitica, esigendo un più diretto coinvolgimento di Berlino nel conflitto. Applausi, ma a denti stretti. E oggi tocca all’Italia.

Ad assecondare il presidente ucraino in questo pericoloso gioco non ci hanno pensato due volte i governi nazionalisti dell’Europa orientale che furbescamente avevano proposto, durante la missione a Kiev dei premier di Polonia, Slovenia e Repubblica ceca, una «missione umanitaria» della Nato in Ucraina, ma in grado di “difendersi con le armi”. La risposta dei vertici Nato, che stupidi non sono, è stato un risoluto no,

LA GUERRA, NONOSTANTE le apparenze, approfondisce la divisione tra il nucleo storico dell’Unione europea e i paesi entrati in Europa dopo l’89 che di Ostpolitik non vogliono sentir parlare e i cui sentimenti antirussi vanno ben oltre la sacrosanta avversione per Putin e la sua politica aggressiva. E che nel frattempo cercano di sfruttare al massimo la situazione per far digerire all’Unione europea legislazioni antidemocratiche, politiche nazionaliste e incamerare più risorse senza condizioni.

Con l’occasione rialzano la voce contro la Serbia anche i non certo immacolati nazionalisti kosovari. Se dovessimo individuare un fattore che, neanche troppo paradossalmente, attraversa i fronti contrapposti di questo conflitto è la negazione dei caratteri europei della Russia, quelli storici e quelli culturali, compreso l’originario marxismo bolscevico, sbaragliato a favore di una dittatura statuale dal meno europeo dei capi sovietici: Stalin.

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A COMINCIARE PROPRIO da Vladimir Putin e dalla sua autocrazia antieuropea ostile a qualunque articolazione democratica e influenzata da torbide ideologie imperiali. A scavare un fossato invalicabile tra Russia ed Europa hanno poi costantemente lavorato, per ovvie ragioni di potere geopolitico, gli americani, mettendo un freno ad ogni tentazione delle capitali europee di muovere in altra direzione. Infine i regimi nazionalisti dell’Europa orientale per saldare i propri conti storici con la Russia e per farsi lautamente sovvenzionare la propria posizione di confine tra quelli che dovevano restare due mondi contrapposti.

A sostenere l’appartenenza della Russia all’Europa nonché una evoluzione democratica in quel paese resta l’attore più debole e perseguitato, ossia l’opposizione interna russa che in condizioni proibitive e correndo gravi rischi si sforza di far sentire la sua voce.

NONCHÉ LA GRANDE diaspora di fuoriusciti, esuli e fuggiaschi che dall’estero cerca di contrastare il potere moscovita e di bucare il sipario di menzogne che la dittatura ha fatto calare sul paese. A questi oppositori e disertori, che Vladimir Putin ha promesso di schiacciare come moscerini, dovrebbero essere aperte le frontiere occidentali e magari anche la tribuna dei parlamenti

Quale luogo migliore del crocevia ucraino per scavare il fossato tra Russia ed Europa? Putin ha fatto la sua scelta senza esitare. E Kiev si trova a dover far drammaticamente coincidere la sua propensione per l’Europa con il fronte di una guerra guerreggiata. Non vi è guerra in cui non si commettano crimini e atrocità. Le quali facilmente inducono ad estendere l’odio per il governo aggressore all’intero popolo di quel paese.

Un rischio che si corre da entrambe le parti e che renderebbe quel fossato incolmabile per lungo tempo. L’odio, una volta seminato, segue il suo corso.