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In Tunisia sotto processo la politica post-rivoluzione

In Tunisia sotto processo la politica post-rivoluzioneProtesta contro il presidente Saied per le strade di Sidi Bouzid, dove nel dicembre 2010 partì la rivoluzione tunisina – Ap/Riadh Dridi

Nord Africa Crimini elettorali, rinviati a giudizio in 19: leader di partito, ex ministri e un presidente. Tutti colpiti dall’indagine, dalla sinistra alla destra islamista di Ennahda. Ora rischiano di non poter correre alle elezioni del prossimo dicembre

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 8 gennaio 2022

In un anno cruciale per la Tunisia che si prepara a vivere un profondo cambiamento istituzionale, il 2022 ha già riservato il primo grande colpo di scena. Il 5 gennaio, verso sera, l’agenzia di stampa nazionale Tap ha chiuso la giornata lavorativa dei tunisini con una notizia accolta con soddisfazione da più parti: 19 personalità politiche di primissimo piano sono state deferite al Tribunale di prima istanza di Tunisi per crimini elettorali risalenti alle consultazioni popolari del 2019.

Si tratta di ex candidati alle presidenziali e alle legislative che hanno segnato il percorso di transizione democratica negli ultimi dieci anni. Notizia che era nell’aria da tempo e che nasce da un rapporto della Corte dei conti di due anni fa.

CIÒ NON HA IMPEDITO alla popolazione di prendere positivamente l’apertura ufficiale di un processo. La classe politica nata dopo la Rivoluzione della dignità e della libertà del 2011 è stata sfiduciata da tempo. La speranza tiepidamente nascosta è di vedere tradotti un giorno in prigione i colpevoli dei reati di violazione di silenzio elettorale, pubblicità politica e illegale via social relativi agli articoli 57, 69, 154 e 155 della legge n°2014-16 sulle elezioni e i referendum.

Non sarà così. «La pubblicità politica e la violazione del silenzio elettorale sono punite con ammende che variano dai 3 ai 20mila dinari (da mille a 7mila euro circa, ndr)», ha detto Néjib Ktari, presidente della Corte dei conti.

Quello che rimane di una vicenda prettamente finanziaria è l’impatto della notizia, un vero e proprio scossone politico. Davanti ai giudici dovrebbero comparire figure come Rached Ghannouchi, leader del partito di formazione islamica Ennahda e uno dei protagonisti assoluti della scena politica post 2011; Nabil Karoui, magnate tunisino arrivato al ballottaggio alle presidenziali del 2019; Moncef Marzouki, primo presidente della Repubblica democraticamente eletto nel 2011 e oggi condannato a quattro anni di carcere in absentia per cospirazione contro lo Stato; Hamma Hammami, terzo alle presidenziali del 2019 e uno dei leader della sinistra tunisina; Youssef Chahed ed Elyes Fakhfakh, ex primi ministri.

Questo potrebbe avere degli effetti diretti sui fragili equilibri istituzionali su cui si regge la Tunisia in questo momento. Dopo il colpo di mano del presidente della Repubblica Kais Saied il 25 luglio scorso con cui ha congelato il parlamento, sciolto il governo e dimissionato di fatto i deputati sulla scia di una pesante crisi economica e politica (e giocando sulla sfiducia generalizzata dei tunisini), il paese nel 2022 è chiamato a due importanti appuntamenti: il primo il 25 luglio prossimo con un nuovo referendum costituzionale, il secondo a dicembre con le elezioni anticipate. A oggi non è chiaro se le personalità coinvolte, nel caso dovessero risultare colpevoli, potrebbero perdere il diritto di candidarsi.

LO SCENARIO è in continuo mutamento e Saied non è nuovo a sorprese. Grazie al decreto presidenziale n. 2021-117 del 22 settembre 2021 con cui di fatto si è autoconsegnato i pieni poteri, da qui a undici mesi tutto potrebbe cambiare, inclusa la partecipazione alle prossime elezioni. «Non ho commesso nessun crimine elettorale e sfido Saied a togliersi l’immunità per rispondere delle informazioni su di lui all’interno del rapporto della Corte dei conti», la reazione di Hamma Hammami.

CHI HA GIÀ PERSO è Ennahda. Dal colpo di forza di Saied il partito islamico guidato da Ghannouchi vive uno dei momenti più bui della sua storia recente. L’ultimo tassello di una crisi interna, a cui vanno aggiunti l’incendio alla sede del partito a Tunisi il 10 dicembre scorso e l’arresto dell’ex ministro della Giustizia Noureddine Bhiri, uno dei più vicini a Ghannouchi.

«Si temeva un atto terroristico che mettesse a repentaglio la sicurezza del paese. Era necessario reagire», la spiegazione del ministro dell’Interno Taoufik Charfeddine. Arrestato il 31 dicembre, Bhiri è stato ricoverato in ospedale due giorni dopo e ha intrapreso uno sciopero della fame. Le sue condizioni sarebbero critiche.

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