Per la prima volta dalla crisi del 2008, il numero di disoccupati in Spagna scende sotto la soglia psicologica dei 3 milioni. È un risultato storico, ottenuto dopo due anni pandemici e in piena crisi internazionale. Non solo: il numero di lavoratori precari è ai minimi storici (per la Spagna) e la disoccupazione giovanile è scesa di 10 punti in un anno.
Forse questo è uno dei risultati economici più significativi del governo di coalizione guidato da Pedro Sánchez, ed è senza dubbio il fiore all’occhiello della ministra del lavoro e vicepresidente Yolanda Díaz.

Dal punto di vista numerico, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Ine), la disoccupazione in Spagna tocca nel secondo trimestre il 12,48%: era dal 2008 che non si vedevano numeri così bassi. Gli occupati in Spagna sono oggi 20 milioni 468mila persone, anche questo un record. Nel 2013 i disoccupati avevano toccato i sei milioni e 300mila persone (il 27%): secondo i dati resi noti ieri, il 30 giugno erano invece solo 2 milioni 919mila. Negli ultimi 12 mesi l’impiego è aumentato di quasi 800mila persone, quasi tutte nel privato.

L’altro dato positivo è che il numero di lavoratori precari, dopo l’adozione della riforma promossa dal governo ad aprile, è diminuito significativamente: ora i lavoratori a tempo indefinito sono più di 13,4 milioni: un record. I lavoratori con contratto temporale sono invece 3,9 milioni, il 22% del totale dei lavoratori stipendiati. Gli autonomi sono 3,1 milioni. Tra aprile e giugno il numero di contratti precari è caduto di quasi 250mila unità: è la terza caduta più ingente, superata solo dalla caduta nel 2020 e nel 2009, i due anni di crisi, quando i lavori precari sono stati i primi ad essere distrutti.

«Sono risultati straordinari», ha detto la ministra Díaz. «Abbiamo ridotto la tassa di temporalità del 30% dall’implementazione della nostra riforma del lavoro. L’aumento del salario minimo funziona, la politica di protezione sociale che abbiamo messo in piedi con la cassa integrazione durante la pandemia funziona. La metà dei nuovi contratti è stata per una persona giovane: non era mai successo nel nostro paese». Il tasso di disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni) era infatti al 38,4% nel secondo trimestre del 2021, mentre ora è al 28,5%. Nel 2019 era del 33%: nel 2013, nel picco della crisi, era arrivata a superare il 55%. Praticamente la metà dei nuovi contratti è a tempo indeterminato: prima di aprile questa percentuale non superava mai il 15%.

Un altro dato sottolineato dal governo è che la famiglie in cui tutti i membri sono disoccupati sono scese sotto il milione (990mila, un terzo delle quali formate da un solo membro), mentre quelle in cui tutti i membri attivi hanno un lavoro passano a circa 11 milioni (un quinto delle quali unipersonali).

Sono buone notizie per il governo Sánchez: né il salario minimo, né l’impiego stabile, neppure con una pandemia e una guerra, hanno causato l’apocalisse prevista dagli economisti di destra. Il prossimo passo: tassare banche e imprese energetiche per limitarne i guadagni.