Quattro donne uccise in non più di ventiquattrore in Spagna, ad appena una settimana dall’inizio del nuovo anno. Dopo il mese di dicembre, il secondo più feroce da quando si sono iniziati a contabilizzare i femminicidi nel 2003, con 11 donne assassinate dai loro compagni o ex compagni. Un picco di violenza che il ministro degli Interni spagnolo Fernando Grande- Marlaska non esita a qualificare come «terrorismo machista». Che preoccupa le istituzioni e i corpi di polizia, riuniti ieri e oggi per analizzare la situazione e individuare una nuova strategia per contrastarlo.

Delle ultime quattro vittime, tre sono state uccise a pugnalate e a colpi di rivoltella dai loro compagni, una è stata strangolata dall’uomo con cui aveva appena mantenuto rapporti sessuali occasionali. Due degli aggressori erano già noti alle forze dell’ordine per precedenti di violenza nei confronti di altre donne.

Il periodo natalizio e quello estivo sono i peggiori per le vittime di violenza di genere, dato il maggior tempo che queste passano con i loro aggressori. Dal 2003, il mese con il più alto numero di femminicidi è stato luglio, 118. Lo scorso anno è stato quello in cui si è registrato il minor numero di femminicidi, 46 in tutto. Quando il numero medio annuo di donne assassinate nel primo decennio dal 2003 era di 67 e di 52 nei secondi dieci anni. Proprio per questa tendenza declinante, il dato di dicembre preoccupa di più. Anche perché il 50% delle donne uccise in quel mese avevano previamente denunciato il proprio assassino per violenza di genere.

Alla fine dello scorso anno si è quindi riunito per la prima volta il Comitato di crisi contro la violenza di genere, in cui partecipano i ministeri di Pari Opportunità, degli Interni, della Giustizia e i rappresentanti delle Comunità autonome dove sono avvenuti gli assassinii. Ma la recrudescenza del fenomeno in questo inizio d’anno ha suggerito alle autorità spagnole di scandagliare la situazione, individuando le falle del sistema di protezione delle vittime.

Fino a cambiare strategia, scegliendo di mettere sotto osservazione l’aggressore piuttosto che la vittima. Come da tempo suggerisce il ministero di Pari Opportunità guidato da Irene Montero, che rivendica più risorse economiche e umane da dedicare alla lotta alla violenza di genere e predilige le misure di controllo sull’aggressore, come il monitoraggio degli spostamenti mediante braccialetto elettronico da applicare alla donna e al suo maltrattatore. Finora sono oltre 3.000 i braccialetti elettronici attivati, in aumento del 17% rispetto all’anno precedente.

Eppoi c’è il sistema Viogén, un programma informatico avviato nel 2007, utilizzato dai corpi di polizia, che valuta il rischio di recidività del reato, ossia il fatto che un uomo possa tornare ad aggredire la sua compagna o ex compagna. A seconda del grado di rischio proposto, da nullo a estremo, si avvia un protocollo di protezione delle vittime. Nel sistema sono contenuti circa 75.000 casi, dei quali oltre 700 sono considerati ad alto rischio. Il problema, però è che funziona bene nella previsione di lesioni, ma non di assassinii che sono comunque infrequenti e perciò difficili da predire. La proposta che allora stanno avanzando i ministeri degli Interni e di Pari Opportunità è quella di stabilire un meccanismo di allerta per le donne nel caso in cui i loro compagni abbiano antecedenti per violenza di genere. Un meccanismo che potrà applicarsi solo in caso di rischio imminente per la donna, per rispettare il diritto alla privacy e la protezione di dati dell’uomo.