Si è compiuta in due mesi appena la parabola di Elon Musk da acquirente paladino della «libertà assoluta di espressione», in capo censore e plurimiliardario crociato della destra contro la “dittatura woke”. L’uomo più ricco del mondo è ora del tutto integrato nella cassa di risonanza nazional-populista di cui amplifica quotidianamente gli slogan ai suoi 120 milioni di follower. Una traiettoria erratica che sta mettendo a repentaglio le sorti del suo costoso giocattolo.

IN POCO PIÙ di sessanta giorni il twittatore capo ha invitato gli utenti a votare repubblicano nel midterm, elogiato Ron De Santis, riammesso Trump sul sito ed elogiato Bolsonaro. Il suo uso disinvolto del meme neonazista “Pepe the frog” non ha solo imbarazzato migliaia di liberal proprietari di Tesla, la caotica escalation ha provocato l’esodo di sponsor e di schiere di utenti disillusi fra cui esponenti di spicco, analisti, giornalisti investigativi – quando ha domenica azzardato una comparsata sul palco di uno show comico di Dave Chapelle a San Francisco è stato sommerso da molti minuti di fischi.

TUTTO SENZA CONTARE il reintegro di 60.000 titolari di account precedentemente sospesi per abusi e disinformazione, riammessi d’ufficio contro le obiezioni del suo stesso comitato per la sicurezza i cui membri si sono dimessi per protesta. Per tutta risposta Musk li ha accusati di negligenza «filo-pedofila» (diffamazione assai in voga sui siti di estrema destra in zona Qanon). Uno di loro è stato costretto a lasciare la propria abitazione per la valanga di minacce di morte che sono seguite. A stretto giro ha fatto seguire un tweet in cui invocava l’arresto del commissario anti-covid Anthony Fauci, altro cavallo di battaglia dei negazionisti, fra la generale esultanza di Mar-A-Lago e dintorni.
Di tutte le prospettive possibili è insomma difficile immaginare uno sviluppo più infausto che l’effetto Musk sul canale più usato da stampa, accademici e politici e per la cronaca “real time” ed il commento sulle notizie. L’avvento della sua autarchica gestione ha esacerbato paradossi in parte già insiti in un canale che pretende di veicolare informazione e attendibilità oltre alle opinioni ed escandescenze tipiche dei social.

COME PER TUTTE le piattaforme “sociali” questa difficile mediazione è assurta a problematica centrale simultaneamente all’onda populista e gli annessi comprovati effetti collaterali del modello incentrato su engagement e conflittualità. In questo contesto la crociata contro la «censura della sinistra» invocata da Musk, è una ipocrisia che maschera il rischio ben più concreto della “disinformazione partecipativa” che il nuovo padre padrone sembra invece determinato a promuovere.

Dopo aver nicchiato, professandosi centrista e moderato, Musk ha ormai rotto gli indugi. Sul suo canale ritwitta esponenti della destra complottista come Dinesh D’Souza e Roger Stone e inveisce contro il “virus woke” che avrebbe infettato la cultura. La retorica da Fox News ha provocato un pubblico litigio con la Apple (fra i principali inserzionisti di Twitter) e gli è valso un avvertimento dell’authority europea.
Quello che Trump ha fatto per l’estremismo di destra Musk sta infatti facendo per gli alt-techie ed una cultura di estrema destra che da anni fiorisce in rete. In barba alla reputazione di Silicon Valley come bastione liberal, internet è stata per anni infrastruttura aggregante dell’estrema destra su social e siti come 4chan e 8chan, frequentati da gamer e smanettatori, in gran parte bianchi e maschi. Nel 2014-15 esplose il cosiddetto Gamergate una campagna di bullismo misogino e antifemminista inizialmente contro la sviluppatrice Zoë Quinn. Quel caso rivelerà la cosiddetta manosphere, insieme di canali variamente maschilisti e incel che amplificano il risentimento bianco e maschile su siti come Breitbart e blog come quello di Mike Cernovich

QUESTO MONDO alt-tech è intriso di rancore e risentimento su genere e razza e spesso contiguo a negazionismi, antisemitismo e razzismo sotto copertura di “meritocrazia”, liberismo e libertà di parola. Fra i cosiddetti disruptor e venture capitalist delle piattaforme vanno inoltre forte le teorie iperliberiste di Ayn Rand ed annesse propaggini di individualismo e darwinismo sociale.
Musk adotta queste istanze alt-right come filosofia personale e come regole aziendali. I licenziamenti di massa (oltre 6.000), i dipendenti costretti a dormire in ufficio e convocati in direzione per ispezioni “a sorpresa” di idoneità, il diktat iper competitivo dell’ assolutismo meritocratico fanno di lui un idolo degli alfieri della “pacchia finita.” L’alt-tech contiene inoltre filoni messianici come il transumanesimo, il miglioramento cibernetico dell’uomo di cui Musk è fautore col suo progetto Neuralink. Gli impianti cerebrali sono necessari per «equiparare il pensiero umano al bit-rate delle macchine», ha affermato in una presentazione pochi giorni fa. La sperimentazione procede da mesi sulle scimmie ed ha apparentemente provocato una ecatombe di primati da laboratorio.

IN BARBA ALL’EMORRAGIA di talento, dollari ed utenti, Musk sembra deciso a perseverare col suo mix di tracotanza, protagonismo ed un agenda ormai apertamente Maga. L’ultimo esempio è stata la pubblicazione dei Twitter Files voluta da Musk per svelare la «censura» operata dai predecessori che avevano bloccato la diffusione di un indagine del New York Post su Hunter Biden. Lo scandalo attorno al computer portatile del figlio del presidente, dimenticato da un concessionario e contenente foto scabrose e presunte prove di corruzione, era frutto di una soffiata al Post dalla campagna Trump pochi giorni prima delle elezioni del 2020. Le “rivelazioni” di Musk mostrano poco più che un accesa discussione fra responsabili Twitter, che finiranno col rimuovere i link all’articolo, temendo una bufala politicamente pilotata.

IL RILASCIO del dossier allinea Musk definitivamente all’area Maga, col principale risultato di un esagitato comunicato di Trump invocante la «sospensione della costituzione» ed il proprio «immediato reintegro» alla Casa bianca. Soprattutto serve a screditare ulteriormente Twitter. Un cattivo presagio per la sua stessa sopravvivenza e per le prospettive di una necessaria riforma dei social in generale.