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In Serbia la protesta per il «voto rubato» incalza, ma Vucic tira dritto. E Mosca è con lui

In Serbia la protesta per il «voto rubato» incalza, ma Vucic tira dritto. E Mosca è con luiLa protesta degli studenti serbi nelle strade di Belgrado – Ap

Turbolenze post-elettorali Proseguono le manifestazioni che chiedono alla Corte costituzionale l'annullamento delle elezioni del 17 dicembre per brogli. Rischio violenze, Filip Ejdus di "Proglas" si dice preoccupato: «Il governo in passato ha già usato hooligans infiltrati per screditare i manifestanti»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 30 dicembre 2023

Le luci e gli alberi di natale ancora riempiono le strade di Belgrado ma la placida atmosfera di fine anno non è riuscita a infiltrarsi tra i ranghi serrati dei manifestanti che protestano ormai da più di una settimana: chiedono l’annullamento delle elezioni nazionali e amministrative tenutesi lo scorso 17 dicembre in Serbia.

NEL POMERIGGIO DI IERI i cittadini si sono riuniti fuori dal municipio della capitale per l’undicesima volta consecutiva, denunciando i brogli (registrati sia dagli osservatori nazionali che da quelli europei) che avrebbero favorito il trionfo del partito progressista serbo (Sns) di Aleksandar Vucic, attuale presidente della Repubblica e protagonista indiscusso della politica serba degli ultimi dieci anni.
La protesta è stata animata ieri anche da un presidio degli studenti, riuniti sotto al movimento spontaneo “Lotta”, (Borba in serbo), che si sono accampati con le tende di fronte alla sede del ministero della Pubblica amministrazione, chiedendo un’indagine credibile sul «furto del nostro voto», come si leggeva su alcuni cartelli. Il presidio si unirà oggi alla manifestazione indetta nel centro di Belgrado dall’iniziativa “ProGlas”, promossa da personaggi pubblici come accademici e artisti che durante la campagna elettorale hanno esortato i cittadini a recarsi alle urne per combattere l’astensione, storicamente alta.

«CHIEDIAMO CHE LA CORTE costituzionale annulli il voto a causa dei brogli, e il ripetersi delle elezioni tra sei mesi, quando verranno garantite migliori condizioni elettorali», spiega al manifesto Filip Ejdus, professore associato presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Belgrado, tra i fondatori di “ProGlas”. «Vogliamo che le manifestazioni rimangano pacifiche: questo governo si è servito in passato di gruppi di violenti e hooligans per gettare discredito sulle proteste degli oppositori, non escludiamo che possa accadere di nuovo», spiega.

ALLE PROTESTE che vanno avanti da giorni si aggiunge lo sciopero della fame di Marinika Tepic, vicepresidente del Partito di libertà e giustizia, e di altri cinque quadri del suo partito di ispirazione socialdemocratica. Tepic, uno dei leader dell’alleanza dei partiti di opposizione “Serbia contro la violenza”, che ha sfidato compatta Vucic lo scorso 17 dicembre, ha smesso di mangiare per chiedere l’annullamento del voto e il rilascio della trentina di manifestanti arrestati alla vigilia di Natale durante gli scontri che si sono verificati con la polizia fuori dalla sede del comune.

Per ora Vucic non ha mostrato di essere sensibile alle proteste: ha ribadito più volte che l’opposizione si stava preparando da tempo a non riconoscere i risultati e ha alluso a un piano di agenti stranieri non meglio identificati per «spezzare la spina dorsale della Serbia». I funzionari del governo e i media alleati hanno denuniato il tentativo di innescare «una nuova Maidan», sulla scia di quanto avvenuto in Ucraina dieci anni fa.

IL COMMENTO DI MOSCA non si è fatto attendere: per Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, gli attivisti scesi nelle strade in questi giorni sono «mobilitati, finanziati e controllati dall’estero»; mentre secondo il quotidiano filogovernativo serbo Politika i «centri di potere occidentali» non gradiscono la posizione internazionale confermata dagli elettori il 17 dicembre, «ovvero che non c’è nessun riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, e nessun cambiamento nella politica verso i Paesi amici, come la Russia».

«La comunità internazionale è pronta a dare una mano: ma il progresso democratico della Serbia dipende dai suoi cittadini», ha chiosato invece l’ambasciatore degli Stati uniti a Belgrado Christopher Hill, bollando come ridicole le accuse di Mosca durante un’intervista con il giornale serbo Blic.

NONOSTANTE di fronte alle telecamere Vucic si sia mostrato tranquillo e già proteso verso l’organizzazione della nuova agenda di governo, il suo partito non ha ancora la maggioranza nel comune di Belgrado, dove ha vinto di appena quattro punti e dove l’opposizione aveva chance concrete di vincere. Ieri la proposta a due partiti conservatori di formare una maggioranza è caduta nel vuoto. E i manifestanti scesi nelle strade promettono di rimanerci a lungo.

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