In Senegal, dove l’oro brilla poco
L'ultimo anello Nelle miniere informali della regione di Kedougou, che alimentano una filiera di profitti e sfruttamenti. E al cui estremo opposto ci sono anche le gioiellerie di Milano. Sul gradino più in basso, lavoratori senza diritti in fuga dalla fame. Molti arrivano dai paesi vicini e, se non altro, una volta che sono qui non vengono trattati da «migranti»
L'ultimo anello Nelle miniere informali della regione di Kedougou, che alimentano una filiera di profitti e sfruttamenti. E al cui estremo opposto ci sono anche le gioiellerie di Milano. Sul gradino più in basso, lavoratori senza diritti in fuga dalla fame. Molti arrivano dai paesi vicini e, se non altro, una volta che sono qui non vengono trattati da «migranti»
«Allora chiamalo, ok? Così chiudiamo questo affare, dai ciao» dice Babakar al telefono a un suo socio in Lombardia con un pulito accento italiano. Quello da chiamare è un avvocato che sta in Italia, c’è da chiudere una partita di diamanti con un ricco milanese. Babakar lavora dal Senegal, compra oro tra Senegal e Mali e diamanti in Guinea. «L’hai visto mai Blood Diamond, il film con Brad Pitt?» chiedo a Babakar provando a farlo sentire in colpa. «È con Leonardo di Caprio quel film!», risponde impassibile.
L’ORO DAL SENEGAL gli arriva dalla regione di Kedougou. «In Europa lo vendi a 34/35 mila dollari al chilo, dipende dalla borsa. Io lo posso pagare tra 18 mila e 24 mila dollari, dipende da numerosi fattori» mi spiega Babakar.
La regione di Kedougou si trova nell’estremo sud-est del Senegal, al confine tra Mali e Guinea, distante 700 km da Dakar; qui, nei primi anni del nuovo millennio, sono state scoperte nuove risorse aurifere. Piccoli villaggi, fino a quel momento tradizionalmente legati all’agricoltura e all’allevamento, sono stati presi d’assalto da migliaia di cercatori d’oro sia senegalesi che migranti (provenienti in maggioranza da Mali, Guinea e Burkina Faso). Tutto ciò ha comportato per la zona uno stravolgimento demografico e socio-economico enorme. Uno di questi villaggi è Bantako, che è passato da 2 mila abitanti nel 2008, ai circa 6 mila di oggi.
Il villaggio dista circa 35 km da Kedougou, capoluogo dell’omonima regione; qui ci sono numerosi scavi auriferi- artigianali, completamente informali. E circa 3000 cercatori d’oro che instancabilmente picconano, raccolgono, sbriciolano e puliscono pietre, alla ricerca di pochi grammi d’oro.
LE CONDIZIONI DI SICUREZZA e di salute per i lavoratori vengono gestite in modo rudimentale, nulla a che vedere con gli standard internazionali di sicurezza previsti in questi casi.
Bantako sembra più un ghetto che un villaggio tradizionale del Senegal Orientale. Le capanne in paglia sono oramai minoranza, nascoste fra le baracche in lamiera e i semplici casottini in cemento: le nuove case, per chi si può permettere di acquistare calce e mattoni.
LUNGO LA VIA PRINCIPALE, come un decumano, sono addossati vari esercizi commerciali: rivenditori di benzina, meccanici per moto e biciclette, ristorantini, ferramenta, macellai. Ogni tipo di negozio è presente sulla lunga strada che finisce al fiume e il cui ultimo tratto è fiancheggiato dalle baracche dove si lavorano le pietre che emergono dalle miniere, e dove ci sono gli scivoli di legno sui quali si bagna la sabbia risultante dalla macinatura delle pietre dentro un colino che trattiene l’eventuale oro presente e lascia colare il fango sullo scivolo.
Gli scavi invece si trovano dall’altro lato del fiume, a un paio di chilometri dal villaggio. Un continuo via vai di motocicli, dopo aver guadato un piccolo ruscello che funge anche da discarica del villaggio, prosegue inoltrandosi nella Savana verso le miniere.
IN UNA DELLE CASE IN CEMENTO vive Waly keita, un 50enne originario di Bantako, che da quando è stato scoperto l’oro ha lasciato la zappa per impugnare il piccone. «Dal 2007-2008 il villaggio è completamente cambiato. Prima non c’erano motociclette, praticamente non c’erano nemmeno le case in cemento. Non si guadagna molto nemmeno con l’oro, ma sicuramente più di un contadino; non avrei mai potuto costruirmi una casa in cemento se fossi rimasto contadino, sarei rimasto in una di paglia; e quelle di paglia sei costretto a rifarle ogni 3-4 anni, queste invece durano».
Waly Keita che il villaggio è controllato da un consiglio composto dagli abitanti di Bantako. Tale consiglio nomina anche un rappresentante del villaggio che gestisce l’area degli scavi e la guardiania della stessa. inoltre cura i rapporti con la burocrazia senegalese. Esiste poi un sistema di sicurezza interno che tenta di risolvere le controversie all’interno della comunità, e solo in ultima istanza, le autorità del villaggio, qualora non riescano a risolvere la lite, chiamano in causa la gendarmerie. «Vista la grande presenza di lavoratori che vengono da altri paesi, ogni comunità migrante ha un rappresentante, che in caso di problemi viene interpellato dal consiglio del villaggio. Tra le varie comunità comunque non ci sono mai stati problemi. Siamo tutti una grande famiglia ormai».
Non ci sono mai stati problemi perché Waly Keita, in effetti, non ha mai usato la parola migrante. «Per noi sono semplicemente fratelli, sono la stessa cosa, non diciamo proprio “migrante”» spiega uno dei figli, che ha tentato 4 volte di arrivare in Europa ma è sempre rimasto bloccato in Libia.
NELLA ZONA DEGLI SCAVI cumuli di pietre si alzano come montagnole nascondendo i tunnel (qui chiamati duma) celati sotto teloni di plastica sorretti da pali di legno. I tunnel seguono i cosiddetti filoni auriferi, e uno dopo l’altro aprono buchi profondi fino a 50 metri. Nelle zone già sfruttate, simili a paesaggi lunari, i buchi vengono lasciati aperti e di notte è facile cascarci dentro.
Moussa è la persona incaricata dal villaggio a gestire la zona degli scavi, e ci spiega come si è arrivati a scoprire l’oro: «Noi di Bantako siamo fondamentalmente un popolo di agricoltori e allevatori. Tuttavia, facevamo anche l’estrazione del carbone. Ci siamo poi accorti che c’erano anche delle pietre con pigmenti d’oro. Soltanto che noi non avevamo esperienza, non sapevamo cosa farcene. A quel punto sono arrivati i maliani, i burkinabé, che hanno esperienza in fatto di miniere d’oro e abbiamo iniziato a sfruttare le risorse aurifere. Il passaparola è girato e migliaia di persone sono arrivate in massa per lavorare».
Moussa ci spiega che ogni duma è lavorata da un team di 8 persone, assolutamente misto in termini di nazionalità, che lavora dalle 8 di mattina fino alle 18 del pomeriggio. «Quattro si calano in profondità a spaccare le pietre, che verranno poi messe sui secchi e issati in superficie da una carrucola. I quattro che stanno sopra si occuperanno di mettere le pietre dentro i sacchi. Dopo 5 ore fanno cambio: chi stava sotto va sopra e viceversa».
DI SOLITO, OGNI BUCA, ogni squadra, ha un finanziatore che ha pagato il costo per le attrezzature. Anche lui, ovviamente, farà parte della divisione dei guadagni dall’eventuale ritrovamento dell’oro, al netto della copertura dei costi per le attrezzature. «Una volta che si hanno i sacchi con le pietre, ci sono due strade – spiega Moussa, seduto sotto un gazebo di paglia nel suo cortile di casa -: o paghi 7000 franchi Cfa a sacco (poco più di 10 euro, ndr) per farti lavorare le pietre da macchinario semi-moderno che si trova lì nella zona degli scavi; oppure paghi molto di meno, ovvero te lo fai da solo con attrezzature rudimentali e macchine poco efficienti. Ovviamente il macchinario ha molte più probabilità di trovare l’oro rispetto agli altri metodi e questa è anche la ragione del suo costo più elevato», dice Moussa, che è anche socio-tesoriere dell’impresa proprietaria del macchinario.
NON RISPARMIA CRITICHE allo stato senegalese, Moussa: «Se è stata costruita una scuola e un’infermeria dal 2008, certamente non è per merito dello stato, ma dei privati. Il governo si era fatto carico di portare l’illuminazione pubblica nella strada di Bantako, ma ad oggi non abbiamo ancora visto l’inizio dei lavori».
Modou è un senegalese di circa 25 anni capo squadra di un team di lavoro. È sporco di fango, ha un cappello per proteggersi dal sole cocente e lo sguardo fiero. «Scendere giù è molto pericoloso, rischi di scivolare, di tagliarti con una pietra. Vedi questa ferita, me la sono fatta scivolando su una pietra. Quei tronchi che vedi li fuori le portiamo giù per mettere in sicurezza le pareti, i fianchi dei tunnel, per evitare che crollino», afferma tutto serio Modou. Lui sa benissimo che l’oro lavorato qui con tanta fatica, che procura miseri guadagni nell’assenza totale di diritti per i lavoratori, nell’Occidente vale moltissimo, porta enormi profitti e viene venduto in splendenti boutique.
«LO SO BENE COME FUNZIONA e che abbiamo dei diritti – dice ancora Modou -, ma quando vieni da una realtà dove non hai nulla, è diverso ed è proporzionato a ciò da cui provieni. Qui la gente non dice nulla, se riesce ad avere 10-15 grammi d’oro, sta zitta, si prende i soldi e se ne va. Però, cercherò di far conoscere ai ragazzi del mio team i loro diritti e migliorare le loro condizioni. Questa cosa potrebbe portare dei problemi, ma magari servirà per emanciparci da queste condizioni di lavoro».
Nel team di Modou c’è Akia, un giovane guineano venuto a Bantako anche lui in cerca dell’oro. «Dove abito non c’erano possibilità per me. Qui guadagno abbastanza da mandare dei soldi a casa per sfamare la mia famiglia. grazie a Dio».
LA MAGGIOR PARTE dei lavoratori viene dai paesi confinanti, da zone dove la miseria è talmente forte che lavorare come uno schiavo per pochi soldi, l’essere l’ultimo anello della catena del mercato dell’oro e quindi il soggetto sfruttato su cui ricade l’abbassamento del costo del lavoro e l’annullamento dei diritti, in fin dei conti, rappresenta un rospo da ingoiare. Fin quando si riescono a mandare i soldi a casa non ci si lamenta e si piccona.
Questi uomini rappresentano semplicemente una forza lavoro che va sfruttata per consentire al mercato globalizzato di portare il profitto fino in Occidente. Vengono lasciati così, con pochi guadagni in tasca e con il sogno di mettere insieme quella quantità giusta di denaro che possa permettergli di scappare via.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento