Appoggiata alla ringhiera della stazione dei treni di Suceava, capitale dell’omonima regione nel nord est della Romania, Marina sta fumando una sigaretta, mentre il figlio Sergej di 6 anni trascina una busta di plastica con qualche vestito dentro. Sono riusciti a prendere pochi bagagli prima di scappare dai bombardamenti su Dinpro, in Ucraina. «Le bombe cadevano continuamente. Da un giorno all’altro eravamo costretti sotto terra» ricorda la donna. Insieme a Marina e Sergej, nelle ultime 24 ore, hanno attraversato il confine tra Ucraina e Romania 10.953 persone, come riporta la polizia di frontiera rumena. Sono 13 giorni che è partita l’offensiva russa in territorio ucraino e dall’inizio del conflitto, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), sono 1.7 milioni le persone che hanno abbandonato il paese, principalmente donne e bambini. Secondo i dati della polizia di frontiera, in Romania dal 24 febbraio sono entrati 260.000 cittadini ucraini.

UNO DEGLI INGRESSI più utilizzati del Paese è il valico di Siret, a 45 chilometri da Suceava. La strada di tre chilometri che collega Siret, paese di appena 7000 abitanti, al confine è stata allestita da volontari e associazioni cristiane per far fronte all’emergenza. Da un lato della strada ci sono i banchetti che offrono beni di prima necessità: tè caldo, snacks, muffin preparati in casa, acqua, ma anche guanti di lana per bambini, peluches, macchinine giocattolo e assorbenti. Alle spalle dei banchetti, una ventina di tende da campo offrono riparo dal freddo ai nuovi arrivati. «Avevo una vita stupenda prima della guerra», racconta Tania mentre sorseggia un chai caldo, il tè rumeno che i volontari distribuiscono ai profughi. La ragazza è arrivata da Kharkiv dopo tre giorni di viaggio. «Io sono della Moldova, ma ho vissuto a Kharkiv per undici anni. Avevo un buon lavoro presso un’azienda d’informatica francese» continua. Dallo scoppio della guerra, la vita della trentenne è stata stravolta: «Il padre di un mio collega è stato ucciso da una bomba. A quel punto ho deciso di prendere le mie cose e lasciare Kharkiv».

PRONTI a dare una mano alle persone in fuga non sono solo le organizzazioni di volontariato rumene, per la maggior parte sostenute dalle chiese evangeliche e ortodosse della zona, ci sono anche volontari provenienti da tutta Europa. Mustafa Veyseloslu abita in Anatolia e quando il 24 febbraio, ha visto le immagini dell’invasione russa dalla tv di casa sua, in Turchia, ha deciso di venire al confine di Siret per fornire il suo contributo. Con l’aiuto di due amici, ha caricato un furgone di noodles istantanei, barrette di cioccolato e bottigliette d’acqua ed è partito per la Romania. Mustafa, in pensione dopo trent’anni di servizio nella polizia turca, passa le giornate a distribuire beni di prima necessità dal suo banchetto. Si ripara dalla neve sotto un ampio ombrello rosso al quale è appesa la bandiera turca.

SONO 85.566 i profughi arrivati dall’Ucraina attraverso il valico di Siret dal 24 febbraio ad oggi, secondo la polizia di frontiera. Un vero e proprio esodo che non accenna a diminuire. In previsione dell’aumento degli arrivi al confine, lunedì mattina il consiglio della regione di Suceava presidiato da Gheorghe Flutur si è riunito per discutere il progetto di un nuovo campo profughi presso l’aeroporto internazionale Stefan cel Mare. La città di Suceava, come tutti i piccoli paesi della regione omonima, si è organizzata per far fronte all’arrivo di migliaia di persone. In molti alberghi, palestre e scuole sono stati allestiti campi per accogliere i profughi. Daniel Dumitriu è tornato a vivere a Suceava dopo 18 anni passati ad Alba, in Piemonte e dall’inizio del conflitto ha deciso di aiutare come volontario l’associazione #fightforfreedom.

L’associazione laica prima dello scoppio della guerra in Ucraina si occupava di aiutare le persone senza fissa dimora, ora la priorità è data alla crisi umanitaria. Tutti i giorni Daniel viene all’Hotel Mandachi nella città di Suceava. I profughi ucraini vengono portati al Mandachi da Siret con autobus privati o con mezzi della protezione civile rumena. «Negli ultimi due giorni hanno attraversato il confine circa 400 persone l’ora. Spesso ho passato la frontiera per dare acqua e cibo a chi sta in fila per entrare in Romania» racconta Daniel. Proprio qualche giorno fa un soldato ucraino ha pregato Daniel di prendere sua sorella e i due nipoti e portarli in Romania: «Li ho ospitati a casa mia e il giorno dopo li ho accompagnati all’aeroporto. Sono andati a Bergamo da alcuni parenti». Il 60% dei profughi ucraini infatti lascia la Romania nell’arco di una o due notti. Chi rimane, invece, dopo qualche notte di riposo si sposta verso il centro del Paese.

Così ha deciso di fare Marina. É alla stazione di Suceava per prendere un treno per Bucarest. Una volontaria con cui è in contatto le ha offerto ospitalità nella capitale. Lei e il piccolo Sergej hanno impiegato tre giorni per raggiungere il confine e dopo una sola notte di riposo sono di nuovo in cammino. «Un caro amico è riuscito a portarci alla frontiera con la macchina, ma non lo hanno fatto passare con noi» racconta Marina. Da Suceava, ogni giorno centinaia di rifugiati prendono il treno per raggiungere Bucarest.

Alla stazione, dal 24 febbraio, giorno e notte ci sono i volontari coordinati dalla chiesa ortodossa di Suceava. «Non eravamo pronti ad affrontare un’emergenza così grande, non eravamo pronti ad affrontare una guerra» racconta il prete volontario Alexandru Flavian, «rispetto all’inizio della crisi, ora siamo più organizzati e ci coordiniamo con tutte le associazioni di volontari». La chiesa di Suceava ha messo a disposizione 2800 posti letto per ospitare chi arriva dall’Ucraina e insieme alle altre associazioni di volontariato, laiche ed ecclesiastiche, condividono informazioni, mezzi e personale per aiutare in ogni modo quelli che lo stesso Padre Alexandru definisce: «i nostri fratelli ucraini».

Finita la sigaretta Marina sorride a Sergej e con lui rientra nella stazione. Il treno per Bucarest sta per passare.