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In piazza per Mahsa Amini, 5 morti nel Kurdistan iraniano

In piazza per Mahsa Amini, 5 morti nel Kurdistan iranianoTeheran, una moto della polizia data alle fiamme nelle proteste seguite alla morte di Mahsa Amini – Ap

Iran I manifestanti invocano l’abolizione della polizia morale, e ora anche alcuni deputat

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 21 settembre 2022

Zan, zendeghì, azadì (donna, vita, libertà) è uno degli slogan dei dimostranti che in questi giorni protestano per la morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata e malmenata dalla polizia morale perché non indossava il velo secondo lo stretto dettato della Repubblica islamica. Se inizialmente le forze dell’ordine utilizzavano lacrimogeni e pallottole di gomma per disperdere i dimostranti, ora nel Kurdistan iraniano i morti sarebbero almeno cinque. Secondo il governatore di questa provincia, le vittime sarebbero state «uccise con armi non utilizzate dalle forze di sicurezza iraniane». Si tratterebbe quindi di «un complotto fomentato dal nemico». Se le autorità della Repubblica islamica cercano di scaricare la colpa della morte dei dimostranti su potenze straniere, in merito all’uccisione di Mahsa Amini la polizia parla di «incidente» e adduce presunte malattie pregresse, smentite dai famigliari.

LA MORTE di Mahsa Amini dopo tre giorni di coma sta convogliando nelle piazze la rabbia degli iraniani, esasperati dalla crisi, dall’aumento vertiginoso dei prezzi, dalla disoccupazione e dal giro di vite nei confronti delle donne. Obbligate a coprire i capelli con il foulard, ma anche discriminate da un sistema giuridico secondo cui la loro testimonianza in tribunale vale la metà rispetto a quella di un uomo, ricevono il cinquanta percento di risarcimento in caso di ferimento e di morte violenta, ereditano la metà rispetto ai fratelli, faticano a ottenere il divorzio e ancor più la custodia dei figli. Inoltre, vengono escluse da certe facoltà universitarie a causa delle quote azzurre introdotte anni fa dal governo dell’ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad per garantire i posti in aula agli studenti di sesso maschile.

Oltre alle donne, il giro di vite colpisce anche le minoranze religiose (in particolare i bahai) e la comunità Lgbtqia+. Le proteste di questi giorni attirano l’attenzione internazionale e, anche per questo motivo, il presidente Ebrahim Raisi ha chiesto di aprire un’inchiesta sulla morte di Mahsa Amini. Ora, l’uccisione di questa ragazza sta mettendo in discussione l’esistenza della stessa polizia morale. Lunedì circolavano voci di una rimozione o una sospensione del capo della Gasht-e Ershad, la «pattuglia della morte», circostanza negata dalla polizia di Teheran. In questi giorni di proteste, in diverse parti dell’Iran, centinaia di manifestanti ne hanno invocato l’abolizione, e ora anche alcuni parlamentari hanno chiesto la revisione e persino l’abolizione di questo corpo inviso alla popolazione.

IL DEPUTATO Jalal Rashidi Koochi ha dichiarato che la polizia morale «non ottiene alcun risultato, se non quello di causare danni al Paese». Il presidente del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, già sindaco di Teheran, ha chiesto che la condotta della polizia morale sia oggetto di un’inchiesta: per evitare che si ripeta quanto accaduto a Mahsa Amini, dice il presidente del Parlamento, «i metodi utilizzati da queste pattuglie dovrebbero essere rivisti». Ancora più radicale un altro parlamentare, Moeenoddin Saeedi, che intende proporre l’abolizione totale della polizia morale e infatti ha dichiarato: «A causa dell’inefficacia del Gasht-e Ershad nel trasmettere la cultura dell’hijab, questa unità dovrebbe essere abolita, in modo che i bambini di questo Paese non ne abbiano paura quando vi si imbatteranno».

SE L’OBBLIGO del velo è la punta dell’iceberg di un sistema che non garantisce l’uguaglianza di genere, la sua abolizione minerebbe le basi della Repubblica islamica perché a introdurlo era stato l’Ayatollah Khomeini nel 1979 all’indomani della rivoluzione che aveva portato alla fine della monarchia. Insieme allo slogan «Morte all’America», il foulard è uno dei principi cardine della Repubblica islamica. Se lo slogan danneggia l’Iran sul fronte internazionale, isolandolo, l’obbligo del velo fa sì che una parte della popolazione si rivolti contro le autorità. Entrambi i principi sono nocivi per il benessere degli iraniani. Sarebbe più saggio lasciar perdere sia l’uno sia l’altro. Ma il pragmatismo è stato sepolto l’8 gennaio 2017 con le spoglie mortali del suo maggior fautore, l’ex presidente Ali Akbar Rafsanjani.

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