Un’attrice che ha smesso di recitare, un poeta che cerca di smettere di bere. Sono i due personaggi che muovono il nuovo film di Hong Sang-soo, In Our Day, con cui si è chiusa la Quinzaine divenuta in segno di inclusione «des Cinéastes» con la nuova direzione artistica di Julien Rejl.

DUE STORIE parallele che rimandano l’una all’altra nel modo in cui sono filmate, nel ritmo delle parole, in quello degli accadimenti, negli spazi dei personaggi, i loro appartamenti che hanno preso qui il posto dei piccoli caffè di altri film del regista sud-coerano. Ma soprattutto nella materia di ciò che raccontano queste due figure entrambe «interrogate» da giovani aspiranti attori sul senso della loro arte, recitazione e poesia, in cerca di un «metodo», di una lezione, di qualcosa che fornisca loro indicazioni certe e risposte chiare. Tutto ciò a cui né l’una nell’altro sembrano interessati.

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Nel microcosmo di storie di Hong Sang-sooL’attrice – Kim Min-hee divenuta iconografia dei film di Hong Sang-soo, oltre che sua produttrice – è ospite da un’amica che vive sola col suo grande gatto Noi di cui si dichiara «innamorata». Arriva una ragazza a chiedere consigli, vuole fare l’attrice anche lei, ma l’altra le risponde che non ne ha: si deve essere sinceri, spiega, mettere verità nella recitazione, lei ha lasciato perché i registi non le davano scelta, recitare significava solo fare la scena che avevano deciso escludendo tutto il resto intorno.
Anche dal poeta arriva un aspirante attore, vuole avere suggerimenti sulla recitazione cosa che lo stupisce non poco – «non vedo dove siano i legami». Una giovane studentessa di cinema sta filmando il poeta (Ki Joo-bong) per il suo saggio di diploma, il ragazzo ha portato in dono alcol e sigarette però il poeta deve smettere perché ha problemi cardiaci. «Le sue domande sono così stupide che la voglia di bere cresceva sempre più» dice il cartello in stile film muto che «commenta» i diversi passaggi della situazione. Ma cosa chiede il ragazzo? Cose tipo «perché si scrive poesia se oggi nessuno la legge?», «come capire il senso della vita?» a cui il poeta risponde in modo semplice, la poesia si scrive anche se uno solo la legge, e la vita va vissuta.
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Le conversazioni procedono, e in questo campo-controcampo a distanza il poeta e l’attrice appaiono sempre più vicini. Intanto qualcosa accade, la donna si sofferma sulle piante, il gatto scappa, l’amica si dispera. Il poeta decide di bere, mangiano dei ramen a cui aggiungono una pasta super piccante, e intanto quelle loro parole si fanno pensiero sulla vita e sul gesto artistico senza dogmi o risposte certe.

LA VITA va vissuta – e godendosi gli istanti perciò mangiare, bere, fumare se dà piacere – e questa vita è la stessa che c’è nel metterla in scena, nel renderla narrazione, proprio come accade nel cinema di Hong Sang-soo che ne cattura i passaggi, anche i più indefiniti nei piccoli gesti e nel flusso del quotidiano.
E in questo film, nel quale Kim Min-hee interpreta anche se stessa, e nel poeta c’è molto del regista, è come se entrambi aprissero un po’ il laboratorio del loro fare, questa magnifica complicità che intreccia il cinema e il vissuto, che è poetica e punto di vista. Un fare-cinema in libertà.