Dal mar di Sicilia alle Alpi, da Torino a Venezia, movimenti ecologisti, comitati ambientalisti, manifestazioni in difesa del territorio e campeggi politici hanno battuto il tempo di questa torrida e piovosa estate. La quantità di iniziative messe in campo, tra queste l’importante manifestazione di Messina contro l’assurda proposta di costruire il ponte sullo stretto, non ha trovato il giusto spazio sugli organi d’informazione se non quando, si veda la marcia No Tav di fine luglio, c’è stata una muscolare risposta alle poco spiegabili limitazioni al diritto di manifestare. La difficoltà nel bucare l’informazione è forse anche figlia della geografia complessa e articolata, difficilmente riassumibile, vissuta e animata da persone dalla disparate biografie e storie politiche. Non sempre la ricchezza e la differenziazione nella pratiche di lotta trovano sintesi in un contenitore unico, anzi spesso sembrerebbe che i movimenti facciano fatica a dialogare e fare corpo comune.

PER PROVARE A UNIRE LE TANTE ENERGIE in campo, far sintesi e allargare il campo d’azione a Milano si sta organizzando, dal 12 al 15 ottobre, il primo Congresso Mondiale per la Giustizia Climatica (WCCJ). Per Alberto “Abo” di Monte, uno degli organizzatori, «la scommessa del Congresso non è quella di aggiungere una sigla al già ricco panorama del climattivismo, né quella di proporre l’ennesimo forum tematico in presenza (o assenza) di vertici istituzionali. La suggestione da cui partiamo è quella di convocare la prima internazionale dei movimenti e dell’attivismo contro il capitalismo fossile allo scopo di trovare parole comuni, campagne di convergenza, strategie d’azione, uscite d’emergenza dai nuovi dispositivi repressivi. Attorno a questa suggestione stiamo raccogliendo adesioni da quattro continenti che certamente daranno respiro, occasioni di relazione, visibilità anche alle delegazioni a noi più prossime».

Roberto Saleri, dell’associazione AlterNative, editrice della rivista sulle lotte ambientali e climatiche Gaia, ricorda che «il WCCJ è innanzitutto un’ottima occasione per provare a rilanciare le mobilitazioni sia in Italia sia nel resto del mondo. Concentrarsi sulle pratiche quotidiane non vuol dire abbandonare le strade e le piazze, che rimangono alcuni dei luoghi dove si misurano i rapporti di forza con chi detiene il potere. Sarà inoltre un momento di confronto con soggettività provenienti da tutto il mondo, una modalità per rompere l’isolamento e la particolarità di tante battaglie che caratterizzano la giustizia ambientale.

Di fronte alla chiusura monolitica di una classe dirigente che non lascia spazio alle alternative e che riproduce gli stessi meccanismi che hanno prodotto la crisi ecologica attuale, questi momenti rappresentano la possibilità di aprire il campo, di riconoscersi nelle differenze, di ricomporre la frammentazione che caratterizza oggi il quadro dei movimenti sociali e che aspirano a un mondo più giusto». Con il suo sguardo di osservazione e lavoro associativo Saleri ci ricorda che «rispetto alle piazze straordinarie della primavera 2019, i movimenti ambientalisti oggi in Italia si trovano in un momento di impasse. Degli importanti tentativi di rilancio ci sono stati e dei percorsi di lotta sono stati avviati, come quello che coinvolge i lavoratori della Gkn e il piano di re-industrializzazione di questa fabbrica proposto dagli stessi operai.

Quello che vediamo è che molti attivisti per la giustizia climatica e ambientale si stanno rivolgendo alla sperimentazione di pratiche quotidiane di mutualismo che presuppongono la cura e la riparazione dei territori danneggiati dalle ricadute del modello produttivo e della crisi ecologica. Trovare le modalità per dare spazio a questa pluralità di pratiche che coinvolgono la quotidianità rappresenta una delle poste in gioco più importanti oggi per i movimenti sociali».

PRIMA DELL’APPUNTAMENTO MILANESE in tante e tanti si troveranno a Venezia per il Venice Climate Camp. Friday For Future, intanto, prosegue nel suo lavoro e Ester Barel – una delle sue portavoci in Italia – ci diceche «stiamo lavorando su tanti fronti, con lo scopo di evidenziare che ora è il momento cruciale per agire. È vero, si sta sentendo parlare sempre di più della crisi climatica, quindi del problema, ma ancora in modo scarso, vago e scorretto delle soluzioni.

Quali soluzioni – se vere o inefficaci – si metteranno in campo e in che modo si fa avvenire la transizione sono i temi che ora vanno affrontati con serietà». Ester continua ricordando che «come movimento evidenziamo l’urgenza di applicare politiche efficaci (e non di continuare a estrarre gas e a dimenticare di redigere piani industriali seri) e la presenza di un importante aspetto di giustizia sociale» ovvero chiedere e rispondere alla domanda «su chi peserà la transizione?». Sul necessario dialogo tra diverse realtà Ester ricorda che «la transizione non è dei giovani ma di tutti. Non deve passare sui lavoratori/lavoratrici ma attraverso lavoratori/lavoratrici e può comprendere pratiche diverse. Noi e chi sceglie altre pratiche di lotta abbiamo lo stesso obiettivo per cui tra movimenti ecologisti si dialoga. Come FFF avviciniamo quante più persone possibile al tema della crisi climatica perché le persone sono parte della soluzione e non possono essere lasciate fuori dai processi politici necessari ad affrontare questa sfida vitale».

PER LUIGI STURNIOLO DEL COMITATO NO PONTE «i movimenti ambientalisti si percepiscono ormai prevalentemente come movimenti in difesa del territorio. Ognuno di essi ha storia propria e affonda nel proprio territorio radicandosi. In alcune occasioni si danno reti di comitati territoriali. Così è, ad esempio, in Sicilia. Più spesso la relazione viene costruita attraverso la partecipazione/solidarietà reciproca in occasioni di mobilitazione sui singoli conflitti. Il tema della costruzione di un piano comune rimane aperto e sarà obiettivo da darsi nella prossima stagione di mobilitazione».